ERIKA PONTINI
Cronaca

Addio al magistrato Michele Renzo. Una vita per la Giustizia. Con ironia

Settantun anni, da pochissimo in pensione, è morto ieri improvvisamente nella sua abitazione perugina. Proprio a lui Luigi Chiatti confessò in carcere gli atroci omicidi dei bambini: "Mi disse: il mostro sono io".

Michele Renzo: è stato - per unanime giudizio - un magistrato determinato, equilibrato, serio senza mai rinunciare alla battuta, allo sfottò, prima di tutto su se stesso

Michele Renzo: è stato - per unanime giudizio - un magistrato determinato, equilibrato, serio senza mai rinunciare alla battuta, allo sfottò, prima di tutto su se stesso

Perugia, 17 agosto 2024 – Raccontano che quando Lorenzo Paolucci venne ucciso da mano allora ignota che si firmava ’il mostro’ convocò polizia e carabinieri e sbattè violentemente i pugni sulla scrivania. Dopo Simone era successo ancora. Per lui fu un moto inusuale di rabbia. Ma un magistrato vero è questo: codice e cuore. E Michele Renzo era così: pacato, garbato, determinato e ironico come solo i grandi sanno essere, ma persuaso che il ruolo della magistratura non fosse quello di offrire un colpevole al pubblico, piuttosto fare giustizia. E quell’indagine, ereditata dal collega e amico Fausto Cardella, volato in una Sicilia dilaniata dalle stragi di mafia di Falcone e Borsellino, se la continuava a portare addosso come un fardello, anche dopo trent’anni. Se nei mesi scorsi affidò proprio a chi scrive il ricordo di quei giorni drammatici in cui l’Italia scoprì uno dei primi serial killer di casa nostra. Proprio a lui Luigi Chiatti confessò in carcere gli atroci omicidi dei bambini. "C’era un’atmosfera carica di attesa – raccontò –. Avevamo una montagna di prove sul delitto di Lorenzo ma non per quello di Simone Allegretti. Poi confessò tutto". Aggiungendo con rammarico: "Facemmo tutto il possibile ma non riuscimmo a salvare Lorenzo".

Settantuno anni, perugino di adozione, appena un anno fa Michele Renzo aveva appeso la toga al chiodo lasciando per raggiunti limiti di età la poltrona di procuratore capo a L’Aquila. E’ morto ieri improvvisamente nella sua abitazione perugina dove viveva con la moglie Marika, i figli ormai grandi. Prima dell’esperienza abruzzese Renzo era stato procuratore capo di Ascoli Piceno proveniente dall’Ispettorato del Ministero di giustizia. Ma la sua formazione era civilistica: giudice di tribunale quando - raccontano vecchi avvocati - far riformare un suo provvedimento in Cassazione era impossibile. Poi la decisione di varcare il portone di uno degli Uffici allora più esposti d’Italia e tuffarsi mani e piedi nell’era piena di insidie della Tangentopoli romana, in prima linea insieme ai colleghi Fausto Cardella, allora reggente e Alessandro Cannevale. Lo chiamavano il "pool" che per una piccola procura di provincia era quasi surreale riuscire a conciliare grandi inchieste (da Pacini Battaglia alla tranche mai scoperta della tangente Enimont) con le beghe quotidiane di spaccio e furti. E lui era il ’dottor Sottile’, scimmiottando il nomignolo affibbiato a Piercamillo Davigo: sua la mente raffinatissima dietro tante scelte complesse e coraggiose fatte con il sorriso e senza mai diventare personaggio. In ufficio arrivava in sella alla sua immancabile vespa.

Determinato, equilibrato, serio senza mai rinunciare alla battuta, allo sfottò, prima di tutto su se stesso. "Vado in montagna - diceva prima delle ferie - e mi trasformo nell’abominevole uomo delle nevi". E giù risate per rompere la tensione. Come quando a Cardella ’declamò’ quasi in rima i risultati della rogatoria in Vaticano: quaranta pagine e tanti stemmi "ma ci dicono che l’investitore è ignoto". E un sorrisetto carico di significato.

"Non c’è stata indagine in cui non ci siamo confrontati, uomo di mente aperta con la battuta sempre pronta. Tante volte ho cercato di eguagliarlo", il ricordo commosso di Cardella. "E’ stato un esempio di integrità e professionalità, ha saputo coniugare rigore, sobrietà e umanità nel suo operato. La sua capacità di affrontare le sfide con determinazione e il suo contributo alla legalità rappresentano un esempio per tutti", la nota della sindaca Vittoria Ferdinandi.

"L’esempio più alto di magistrato. Dai giorni in cui fui suo uditore è sempre rimasto un punto di riferimento umano e professionale. Quando sapeva che seguivo casi delicati mi chiamava: ogni sua parola era misurata e preziosa", dice Manuela Comodi. "Era il migliore". Di più Cannevale non riesce a dire. Oggi sono in tanti a piangerlo: colleghi, amici, avvocati. E tanti poliziotti, carabinieri e finanzieri che hanno fatto tesoro dei suoi insegnamenti. I funerali lunedì prossimo alle 10 a Pieve di Campo.