"Devi sapere che noi commettiamo cinque reati ogni ora". E’ in questa frase, intercettata dalle microspie nel 2018, il seme delle future condanne per associazione a delinquere nell’ambito della maxi inchiesta che ha scosso l’Umbria nel 2019, facendo crollare i vertici regionali di politica e amministrazione. E’ quel "noi" ad essere impugnato dai giudici come indicatore che "il programma criminoso - scrivono - fosse perseguito ed attuato da parte di un’organizzazione delinquenziale, indicata (da uno di loro, ndr) come un fenomeno endemico della propria struttura di appartenenza". E quella struttura altri non era che l’Azienda Ospedaliera di Perugia. Nelle 1200 pagine di motivazioni, depositate il 30 dicembre dal collegio composto dai giudici Marco Verola, Francesco Loschi e Sonia Grassi, la parte relativa al reato di associazione a delinquere per il quale sono stati condannati Giampiero Bocci, Luca Barberini e Maurizio Valorosi, arrivano come ultimo capitolo. Perché - scrive il collegio - il reato associativo taglia "inequivocabilmente in modo trasversale la maggior parte delle vicende processuali" che hanno stravolto il volto della politica umbra con l’indagine sulla manipolazione di concorsi banditi dall’Azienda ospedaliera di Perugia e dall’Usl Umbria 1. Rispetto al reato più controverso (vedi articolo con l’esito della sentenza) il collegio parla di prova pienamente e puntualmente raggiunta circa "l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata alla "sistematica manipolazione" di un numero indeterminato di procedure concorsuali sistematicamente volta a garantire la vittoria, o quantomeno in posizionamento utile in graduatoria, dei candidati preventivamente determinati da parte degli imputati, Duca (la cui posizione è stata peraltro oggetto di stralcio in prossimità della conclusione del giudizio per le gravi ragioni di salute) Valorosi, Bocci e Barberini, i quali, sono risultati a pieno titolo stabilmente e dinamicamente inseriti all’interno dell’associazione per delinquere per cui - scrivono i giudici - si è svolto il processo". Mentre in relazione alle posizioni dei restanti imputati Catiuscia Marini, Rosa Maria Franconi e Antonio Tamagnini l’istruttoria dibattimentale "non è stata in grado di restituire - oltre ogni ragionevole dubbio -, un quadro di inferenze indiziari sufficientemente stringenti precise e concordanti, tali da sorreggere una costituzione di tal fatta".
Ma quindi il reato associativo, dapprima contestato dai magistrati Mario Formisano e Paolo Abbritti, poi escluso nelle richieste della pubblica accusa è infine riesumato dai giudici con condanne pesanti a carico di tre degli imputati, perché è stata accertata "l’alterazione in un breve arco temporale di una pluralità di procedure pubbliche attraverso un meccanismo oltre modo consolidato - è scritto nelle motivazioni - risultato sistematicamente improntato alla formulazione di segnalazione di candidati da favorire, provenienti per la gran parte da determinati referenti politici (ma non solo da costoro), che venivano dapprima raccolte - per poi, con un "bonus" nei punteggi, ndr - farli risultare nella graduatoria finale nella posizione di vincitore, o tra gli idonei non vincitore, in vista quantomeno della prospettiva di uno sbarramento tale da garantire se non un’immediata assunzione, quantomeno la concreta possibilità".
Inoltre, scrivono inoltre i giudici che la sistematica manipolazione delle procedure concorsuali è risultata "costantemente accompagnata dalla reiterata costante ed organizzata commissione di altri reati, reati come la rivelazione e l’utilizzazione di segreto d’ufficio falso ideologico in atto pubblico e abuso d’ufficio titolo". Tra gli elementi rimarcati dal collegio anche il fatto che l’associazione (in questo caso escluso Barberini) "per garantirsi operatività e per eludere indagini in quel momento in corso di cui era venuta pienamente a conoscenza metà del 2018 si era rivolta a soggetti a vari titolo appartenenti per ottenere informazioni coperte da segreto d’ufficio in relazione all’attività investigativa".