STEFANO BROGIONI
Cronaca

Caso Duchini, il tribunale: “La Consulta valuti l’abolizione dell’abuso d’ufficio”

Per l’ex procuratore aggiunto assoluzione dall’imputazione di peculato (perché il fatto non sussiste) e prescritta la concussione. I pubblici ministeri avevano chiesto la condanna a dodici anni e mezzo

Antonella Duchini

Antonella Duchini

Firenze, 25 settembre 2024 – Era attesa la sentenza, ma è arrivata un’ordinanza: ventotto pagine con cui il tribunale di Firenze affida alla Corte Costituzionale la valutazione dell’abolizione dell’abuso d’ufficio, il reato attorno a cui s’agganciavano gran parte delle imputazioni a carico dell’ex procuratore aggiunto di Perugia Antonella Duchini, ritenuta la fonte di quel “clima tossico” che, secondo l’accusa, si era creato nell’ambiente giudiziario perugino.

Epilogo a sorpresa, dunque, del processo in corso nel capoluogo toscano a carico dell’ex magistrato (oggi in pensione) e agli altri otto imputati, tra cui l’ex carabiniere del Ros, Orazio Gisabella, il cementiere di Gubbio, Carlo Colaiacovo, l’avvocato Pietro Gigliotti, il faccendiere Valentino Rizzuto. Per Duchini, l’accusa, rappresentata dai pubblici ministeri Luca Turco e Leopoldo De Gregorio, aveva chiesto una condanna a dodici anni e mezzo.

Il procedimento metteva insieme tre maxi filoni d’indagini: quello sulle consulenze agli amici affidate dall’allora “aggiunto“; la corruzione per definire favorevolmente i procedimenti a carico di Rizzuto e le rivelazioni per la faida economico-familiare in seno agli industriali Colaiacovo.

Per ora, però, resta tutto congelato, in attesa che la Consulta si pronunci sulla recente riforma. Anche se “un po’“ di sentenza c’è comunque stata: per due capi d’imputazione di peculato e concussione, il tribunale (composto dai giudici Paola Belsito, Alessio Innocenti, Anna Aga Rossi), ha pronunciato sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, e di prescrizione.

Il resto delle imputazioni, agganciate all’abuso d’ufficio, saranno oggetto di valutazione della Consulta. Dall’ordinanza con cui i giudici fiorentini hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale, si apprende che è stata ritenuta “non manifestatamente infondata” la questione sollevata da alcuni legali di parte civile, tra cui l’avvocato Manlio Morcella. Il legale ha sostenuto la violazione dell’articolo 19 della Convenzione di Merida e dell’articolo 31 di quella di Vienna sul diritto dei trattati, in relazione agli articoli 11 e 117 della Costituzione. Morcella domanda “come è possibile che uno Stato aderente alla Convenzione contro la Corruzione di Merida, obbligato a considerare l’inserimento del reato di abuso in atti d’ufficio nel proprio ordinamento, possa risolversi per la sua abrogazione?”.

Il difensore ha poi ricordato che l’articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati stabilisce che “un trattato deve essere interpretato in buona fede, in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo”. “Lo Stato, come l’Italia, che già disponeva del reato di abuso, abrogandolo, - rileva Morcella - non ha forse tradito lo spirito della Convenzione di Merida, per il quale la corruzione, in tutte le sue cangianti manifestazioni, deve essere alacremente combattuta?”.