
di Luca Fiorucci
Un sistema parallelo per portare a termine le procedure catastali ed essere sicuri che tutto andasse a buon fine e in breve tempo. Ovviamente pagando. A tirare le fila, secondo quanto ricostruito dalla Procura della Repubblica di Perugia, sulla scorta delle indagini della Guardia di Finanza, un dipendente dell’ufficio provinciale di Perugia dell’Agenzia dell’Entrate, con l’aiuto di un collega e della moglie, perito agrario. Le indagini sono partite dopo alcune denunce anonime, a cui sono seguiti riscontri anche documentali: oltre a intercettazioni telefoniche che si sono rivelate determinati per l’esito delle indagini che hanno portato a chiedere, e ottenere dal gip del capoluogo umbro, gli arresti domiciliari per quello che è considerato il principale responsabile delle procedure illecite, la sospensione per 8 mesi del collega e il divieto di esercitare la professione di perito agrario per 12 mesi.
Diciotto, in tutto, le persone indagate. I beneficiari delle condotte, hanno ricostruito gli investigatori, oltre che privati cittadini, sarebbero anche professionisti. Le prove raccolte, riferisce ancora la Procura diretta da Raffaele Cantone, hanno "disvelato gravi indizi dell’esistenza di un sistema consolidato e parallelo di “evasione“ di pratiche catastali di vario genere da parte del dipendente pubblico, che, avvalendosi delle risorse e degli strumenti dell’amministrazione di appartenenza, con la collaborazione di un collega e sfruttando l’abilitazione professionale del coniuge (il perito agrario, ndr), avrebbe asservito il proprio pubblico ufficio a fine privatistici e personali".
Così viene ricostruita una delle procedure “standard“: il dipendente delle Entrate (ex Catasto) avrebbe provveduto a "redigere la documentazione necessitata che veniva solo formalmente e fittiziamente fatta risultate riferita al professionista raggiunto da misura interdittiva, privo, tra l’altro, di specifiche competenze in materia catastale. Quest’ultimo poi emetteva regolare fattura per la prestazione resa a fronte del compenso pattuito, occultando in tal modo quello che, secondo le acquisizioni investigative, appare essere l’utilità dell’attività corruttiva". Sarebbe inoltre emerso che "il dipendente, dietro remunerazione, si sarebbe prestato a fornire a professionisti e consulenti informazioni "extra ordinem" a cui aveva accesso in ragione del proprio ufficio, in esecuzione di accordi illeciti, avvalendosi, in taluni casi, del consapevole supporto di un altro collega di ufficio, nonché creando una "corsia preferenziale"" a favore di quelli che sono stati poi indagati.