
Dopo 33 anni di processi, guerre e veleni, all’ombra delle indagini sulla massoneria che infiammarono la città negli anni ’90 è pace fatta in casa-Capponi, la famiglia titolare della ex storica farmacia di corso Vannucci. Il 17 maggio la vicenda ereditaria, al centro anche di interrogazioni parlamentari del Movimento sociale, ha trovato una soluzione con la firma di un accordo stragiudiziale tra i fratelli Antonio (generale in pensione e già consigliere militare dei governi Berlusconi e Prodi), Francesco (farmacista), Daniela (avvocato) e il nipote Giorgio, figlio di Gino (farmacista), morto a settembre scorso.
Una storia a luci e ombre che, per anni ha tenuto con il fiato sospeso la città sia per gli interessi economici, sia per i risvolti processuali penali e civili, che per l’ambiente e il momento storico in cui si disvelò. Tutto inizia con la morte del capofamiglia Giovanni Capponi nel 1990, sulla presunta incertezza testamentaria e su un procedimento di interdizione. Giovanni aveva moglie e quattro figli, tra cui due farmacisti. Francesco Capponi chiese all’epoca il sequestro del patrimonio, la nomina di un curatore e il rispetto della legge che assegnava la farmacia al primo laureato. La farmacia venne venduta all’asta e trasferita a Ponte San Giovanni.
Tra accuse incrociate e colpi di scena la vicenda si intreccia, inevitabilmente, con altri casi: la battaglia tra l’allora maggiore dei Granatieri e la ex moglie per l’affidamento dei figli (si conteranno 160 procedimenti) e la presunta influenza della massoneria nella vita politica e giudiziaria della città. Nelle interrogazioni parlamentari si ipotizzò la longa manus del Venerabile, Augusto De Megni, parente dell’ex moglie dell’ufficiale. Lo stesso Francesco Capponi si rivolse al procuratore di Palmi, Agostino Cordova che indagava sulla massoneria, indagine poi trasferita a Roma e finita con un niente di fatto. Una tranche di quell’incartamento arrivò a Perugia e diede impulso al processo, arrivato a condanna, allo stesso De Megni per usura. L’eco di quella storia si è assopito ma, nei giorni scorsi, dopo la firma dell’accordo è stato Francesco, titolare della para farmacia ‘Capponi’ a rendere noto l’esito di una storia infinita.
"E’ stata posta una pietra sul passato che è stato molto duro e travagliato, dagli altissimi costi per me, che ho dovuto nominare avvocati, consulenti e professionisti pagando qualcosa come 400 500.000 mentre per la famiglia ha significato la perdita di quasi tutto il patrimonio": è l’amara constatazione. "Durante le fasi preliminari di un accordo vengono risolte le questioni legali, economiche e patrimoniali - spiega - ma non quelle etico-morali che sono, in verità, quelle più importanti e, in particolare la mia dignità e reputazione. Le ferite infertemi sono state tante, essendo stato oggetto di ludibrio e denigrazione pubblica per le accuse di furto e di violenza personale, decretate poi “false”, quindi in realtà solo “strumentali”. La perdita della storica Farmacia centrale in corso Vannucci, la perdita del lavoro, di amici e parenti, il trovarsi in gravi ristrettezze economiche sono nulla in confronto alla perdita di stima e di rispetto – sono ancora le parole del farmacista –. Le conseguenze sono state umiliazioni ed ingiustizie. Sicuramente sono state compiute anche in perfetta buona fede da chi era chiamato a decidere, visto che le accuse erano acclarate da mia madre. Naturalmente, da parte mia, non vi sono recriminazioni: io ho perdonato tutto a tutti. Ora le cose stanno diversamente: dovendo riconquistare stima e rispetto, ho fondato una parafarmacia, aperta nel 2009 a Ponte San Giovanni ma conseguenze delle accuse, fatte allora, ancora permangono in frasi velate. Per questo ho deciso di rendere pubblico l’accordo con la speranza che tutta la città sappia discernere il vero dal falso. Ringrazio mia madre che negli ultimi tempi si è ravveduta ed ha chiesto perdono, ringrazio mio fratello Gino che ha condiviso, negli ultimi anni, le mie ragioni e mia moglie Fiorenza". Gli fa eco il fratello Antonio: "Questi litigi sono una follia che hanno arricchito tante persone.
Noi abbiamo perso tutto. Quando si litiga si paga un prezzo. Certo la magistratura, a quell’epoca, non ci ha dato una mano. Era un mondo diverso. La ruota ha girato così".
Eri.P.