
L’inchiesta è stata condotta dalla polizia e coordinata dal procuratore capo Cantone e dal procuratore aggiunto Petrazzini
Una montagna da scalare, un peso insopportabile da affrontare per un ragazzo di 18 anni, che "può immaginare, è distrutto da tutto questo" spiega il suo legale, l’avvocato Alessandro Ricci. Il giovane romano, ai domiciliari con l’accusa di istigazione o aiuto al suicidio per la morte di Andrea Prospero, venerdì sarà sottoposto all’interrogatorio di garanzia da parte del gip di Perugia. Potrà scegliere se rispondere alle domande o avvalersi della facoltà di non farlo. Opzioni che valuterà con il suo legale, con il quale si è incontrato anche ieri. "Si trova di fronte a una grandissima montagna da scalare", commenta l’avvocato. Con il quale il giovane ha affrontato prevalentemente "questioni tecniche, relative a quelli che saranno i prossimi step dell’inchiesta". Un’inchiesta, come ha illustrato il procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, si è mossa in buona parte nel mondo virtuale, in particolare delle chat di Telegram, dove lui e Andrea Prospero si sarebbero conosciuti e attraverso le quali, secondo quanto ricostruito, la morte di Andrea sarebbe avvenuta praticamente in diretta.
Analizzando il cellulare dello studente abruzzese (cinque i telefoni acquisiti dagli investigatori), gli esperti hanno estrapolato le conversazioni attribuite poi all’indagato, ragazzo di una famiglia normale, e a Prospero, nelle quali il primo avrebbe convinto l’altro a farla finita, discutendo, nei giorni precedenti, su quale modalità utilizzare per soffrire di meno, come ingerire i farmaci e in quanto tempo avrebbero potuto fare effetto. Conversazioni che sarebbero proseguite anche dopo l’assunzione di ossicodone, quando ormai Prospero sarebbe stato già condannato a morire senza l’intervento di qualcuno. Intervento che, sempre secondo la ricostruzione, non sarebbe avvenuto perché il suo interlocutore, e un terzo entrato nella conversazione in un secondo momento, avrebbero scelto di non chiamare un’ambulanza per paura di essere scoperti. E proprio la paura che potessero risalire a loro e di finire "imbustati", nelle conversazioni, diventerebbe a un certo punto centrale.
"Mi crolla il mondo addosso, anzi già è crollato". Così ha dichiarato la madre dell’arrestato in un colloquio con Il Messaggero. "Siamo persone perbene – ha aggiunto –, uno dei nostri ragazzi fa il poliziotto. Però lui è molto chiuso e riservato, sempre con il telefonino in mano. Eppure, mi creda, li abbiamo sempre seguiti i nostri figli, abbiamo parlato con loro dei pericoli della rete e delle droghe. Lui sta male, noi non sappiamo come fare, è una cosa più grande di noi. Mio marito e io curiamo gli altri, ma ci sentiamo molto soli e impotenti in questo: è il nostro cruccio".
Luca Fiorucci