
Gli accertamenti sono stati effettuati dalla Guardia di Finanza di Perugia
Perugia, 17 luglio 2020 - «Vive abitualmente, anche in parte, del provento di attività illecite", e insieme ad un gruppo di soggetti persegue una sorta di "bulimia finanziaria" per arricchirsi, incurante di controlli e indagini. All’attivo ha una condanna definitiva a cinque anni di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta e procedimenti pendenti nelle procure e tribunali di mezza Italia (come Perugia, Milano, Roma). Ecco il ritratto che emerge dall’ordinanza riguardante Gabrio Caraffini, l’imprenditore di Citerna al quale la Guardia di Finanza di Perugia agli ordini del tenente colonnello Selvaggio Sarri ha applicato la misura di sicurezza della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno all’interno del territorio comunale di residenza per tre anni, e contestualmente sequestrato beni per un valore complessivo pari a 33 milioni di euro.
L’imprenditore umbro "è al centro di indagini relative ad una serie impressionante di delitti in materia fiscale - scrive il tribunale di Perugia, presieduto da Giuseppe Narducci, a latere Alberto Avenoso, nominato giudice delegato dopo il sequestro che ha emesso il provvedimento –, delitti di bancarotta (di tutte le tipologie), delitti contro il patrimonio, a lui addebitati nello svolgimento dell’attività di imprenditore/finanziere, anche attraverso l’esercizio di incarichi sociali rivestiti in una pletora di compagini acquisite e/o costituite nel tempo".
In particolare i giudici hanno riconosciuto la pericolosità socio-economica dello stesso Caraffini, difeso dall’avvocato Pietro Gigliotti. La dettagliata ricostruzione del modus operandi delittuoso dell’uomo ha rivelato il reiterato ricorso a società “schermo”, anche di diritto estero – spiega una nota emanata dalla Finanza – appositamente costituite e gestite formalmente da vari prestanome, per compiere numerose operazioni immobiliari e societarie in completa evasione d’imposta. Le plusvalenze milionarie così ottenute non venivano solo sottratte al fisco, ma alle stesse società, che una volta depredate erano destinate al fallimento. Per provare l’origine illecita del rilevante patrimonio riconducibile, direttamente o indirettamente, all’imprenditore di Citerna è stata acquisita una copiosa documentazione riferita all’ultimo ventennio, tra cui i contratti di compravendita dei beni e delle quote societarie, nonché numerosi atti pubblici che hanno interessato, nel tempo, anche il suo nucleo familiare.
Successivamente, per ogni transazione, sono state verificate le movimentazioni finanziarie sottostanti alla creazione della necessaria provvista economica. Dagli accertamenti – è sempre la ricostruzione degli investigatori – è emerso che gran parte delle attività economiche e dei beni nella disponibilità di Caraffini non hanno trovato alcuna giustificazione nei redditi “ufficialmente” dichiarati. Per uno dei procedimenti di bancarotta, Caraffini – già oggetto di una misura cautelare – è stato condannato in primo grado a 9 anni di reclusione. Il gip aveva già evidenziato che l’imprenditore umbro "è il dominus di un gruppo di soggetti che perseguono in maniera costante ed incurante di ogni intervento e di ogni controllo esterno un proprio disegno di illecito arricchimento personale, in una sorta di bulimia finanziaria".