In aula a Firenze per l’appello bis. Amanda e le accuse a Lumumba: "Un grande errore, assolvetela"

La prima udienza: la procura generale chiede la conferma della condanna a tre anni per la Knox. La replica dei difensori: "Oggi è madre e moglie, rimasta in Usa per stare coi figli ma rivuole la sua serenità".

In aula a Firenze per l’appello bis. Amanda e le accuse a Lumumba: "Un grande errore, assolvetela"

In aula a Firenze per l’appello bis. Amanda e le accuse a Lumumba: "Un grande errore, assolvetela"

di Stefano Brogioni

FIRENZE

Amanda Knox contro Patrick Lumumba. A quasi 17 anni dalla notte del primo novembre del 2007, quando nella casa di via della Pergola venne ritrovato il cadavere di Meredith Kercher, si torna in aula. A Firenze, davanti alla corte d’assise d’appello.

L’americana è ancora imputata di calunnia nei confronti del suo datore di lavoro dell’epoca, proprietario del pub ’Le chic’ dove la studentessa di Seattle faceva la cameriera. La Knox è stata condannata a tre anni (già scontati) per aver coinvolto Lumumba nel delitto, facendolo finire anche in carcere. Ma la Cassazione ha accolto il ricorso dei difensori dell’americana - gli avvocati Carlo Della Vedova e Luca Luparia Donati - e riaperto il processo. L’obiettivo, per Amanda, è l’assoluzione. Lei però non in aula non c’è. "Voleva essere qui ma è rimasta negli Usa per occuparsi dei figli - hanno spiegato i suoi difensori -. Oggi è una giovane moglie e madre. Vogliamo ridarle la serenità". Ieri, la prima udienza, la prossima il 5 giugno, con il probabile verdetto. Gli ultimi a parlare, nell’aula più grande del palagiustizia fiorentino, aperto al pubblico ma interdetto a cameramen e fotografi, sono stati proprio i difensori dell’imputata. Hanno detto ai giudici, togati e popolari, presieduti dalla dottoressa Anna Sacco, che Amanda "è una vittima", contro lei c’è stato "un gravissimo errore". E sono stati "violati i suoi diritti di difesa", come ha riconosciuto una sentenza Cedu, e va quindi assolta, rivalutando, in suo favore, il contenuto di quel memoriale scritto il 6 novembre, prima di finire in carcere. In quello scritto, l’americana ripete il nome di Lumumba, ma secondo la difesa la giovane era confusa, stordita, e con quelle parole non intendeva accusare ma ritrattare precedenti affermazioni.

Di diverso avviso il procuratore generale Ettore Squillace Greco, che ha concluso chiedendo la conferma della condanna a tre anni. "Patrick Lumumba in quella casa non c’era - ha detto Squillace Greco -, si è salvato perché ha trovato uno svizzero preciso come gli orologi che costruiscono che aveva conservato lo scontrino. All’ora dell’omicidio era andato nel suo locale, Lumumba era lì al pub quando lo svizzero ha preso una bibita. Lumumba si è salvato per uno straordinario colpo di fortuna". Ancora più dura la posizione del difensore di Lumumba, l’avvocato Carlo Pacelli. Che male ha resistito alla voglia di rimettere in discussione l’epilogo del processo “principale“, venenedo per questo più volte in conflitto con i difensori della Knox. "Amanda è una ragazza molto intelligente, sempre presente a se stessa ed effettivamente, a mio giudizio, il movente della calunnia sta è nel fatto che si sentiva pressata dagli investigatori e per sviare le indagini ricorre a un classico di queste situazioni: fa il nome di un falso colpevole, spende il nome di un innocente sapendolo innocente".