"Incontro tra Duca e Bocci? Non c’è prova"

Nessun riscontro sull'incontro tra il direttore generale dell'ospedale di Perugia e il sottosegretario agli Interni riguardo presunte irregolarità. Difese legali respingono accuse di associazione a delinquere. Prossima udienza il 28 maggio.

"Incontro tra Duca e Bocci? Non c’è prova"

"Incontro tra Duca e Bocci? Non c’è prova"

PERUGIA - Non ci sono riscontri dell’incontro tra Emilio Duca, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Perugia, e Gianpiero Bocci, allora ancora sottosegretario agli Interni, per l’ultimo giorno, l’11 maggio 2018. Non c’è riscontro al fatto che quell’incontro, di cui risulta traccia nelle intercettazioni del giorno prima, i due avevano parlato, "senza fare in alcun modo riferimento" alla prova che la candidata che secondo l’accusa sarebbe stata sostenuta dallo stesso Bocci né alle domande da avere in anticipo. Né tanto meno, ci sono riscontri a contatti di Bocci con la candidata o suoi familiari per la presunta consegna delle domande. Lo ha sostenuto l’avvocato Alessandro Diddi che con David Brunelli difende Bocci nel processo per le presunte irregolarità nella gestione di assunzioni e promozioni nella sanità umbra. Il legale ha sottolineato come diverse testimonianze confermino come Bocci, di ritorno da Roma, non sia andato al Santa Maria della Misericordia, "gli uomini della scorta di quel giorno hanno un ricordo preciso perché era l’ultimo giorno dell’incarico", allo stesso modo, "il nostro consulente ha dimostrato con estrema chiarezza come l’analisi delle celle telefoniche non sia così indiscutibile, la telefonia mobile non è geometria euclidea".

Nell’udienza di ieri anche l’ultima parte dell’arringa difensiva a per l’ex assessore alla Sanità, Luca Barberini. L’avvocato Brunelli si è concentrato sull’ipotesi di associazione a delinquere: "La dimostrazione del reato associativo, esclusivamente basata su battute, sfoghi e leggende estratte dal bestiario, è fallace nel metodo e nel merito". L’associazione a delinquere, secondo il difensore, nella ricostruzione dell’accusa sarebbe "acefala", una "prassi diffusa" che, però, ritiene il difensore, non può costituire un reato. Si torna in aula il 28 maggio.