REDAZIONE UMBRIA

Inferno al lavoro, parlano i periti

Secondo i consulenti di parte civile c’è causalità tra i mobbing e le patologie di cui ora soffre il trentenne

Secondo i periti della parte civile esiste un nesso di causalità tra la patologia e le vessazioni subite sul luogo di lavoro. A sostenerlo in aula il dottor Sergio Scalise Pantuso, medico legale, e il dottor Silvio D’Alessandro, specialista in psichiatria, incaricati dall’avvocato Rita Urbani di redigere relazioni sullo stato di salute del suo assistito per capire se le patologie di cui soffre siano causate dal “mobbing“ a cui sarebbe stato sottoposto sul luogo di lavoro. Trent’anni, l’uomo è costretto a ricorrere a cure specialistiche in seguito ai maltrattamenti che ha raccontato prima ai carabinieri e poi alla Procura, per i quali ora sono a giudizio in cinque, tre uomini e una donna. Un sesto imputato ha patteggiato un anno e 2 mesi di reclusione (pena sospesa) nell’udienza preliminare.

Un inferno durato cinque anni: tanto sarebbero andati avanti i maltrattamenti subiti dall’uomo sul posto di lavoro. Tutti, infatti, erano impiegati per la stessa azienda privata, che si occupa di servizi postali. Secondo il dottor Scalise Pantuso "ben emergen la riconducibilità del quadro patologico all’attività lavorativa nel corso della quale ha subìto, da parte dei colleghi, maltrattamenti che concretizzano mobbing". Sulla stessa lunghezza d’onda il dottor D’alessandro che sottolinea come il disturbo di cui soffre il trentenne "è da intendersi come reattivo alle costrittività subite in ambito lavorativo, sempre che queste ultime siano chiaramente acclarate in sede processuale".

L’uomo veniva "maltrattato sottoponendolo a continue e ripetute condotte vessatorie e discriminatorie da cui scaturiva una situazione di obiettiva costrizione e soggezione psicologia certificata", si legge nel decreto di rinvio a giudizio. Non solo, il trentenne veniva "diffamato con l’appellativo di “matto“", alla presenza di altri dipendenti veniva definito "quel cretino", "quell’imbecille", "mentecatto". Insulti e vessazioni riguardavano anche il suo orientamento sessuale: veniva appellato, si legge ancora nel decreto di rinvio a giudizio del gip Piercarlo Frabotta nel decreto di rinvio a giudizio, come "frocio, frocio di merda, checca, finocchio". Secondo il racconto da lui stesso fatto nella denuncia querela, il giovane veniva appellato come "Brenda", con riferimento a un noto transessuale ucciso a Roma. Nel procedimento si è costituita parte civile anche l’associazione Omphalos Arcigay e Arcilesbica, tramite l’avvocato Saschia Soli.

AnnA