In nero un lavoratore su 10. In Umbria 41.700 irregolari: allarme per colf e badanti

Il report della Cgia di Mestre denuncia nell a regione un giro d’affari illegale che sfiora il miliardo di euro. "Sfruttamento dei più fragili e niente sicurezza"

Una badante (foto Ansa)

Una badante (foto Ansa)

Perugia, 30 giugno 2024 – In Umbria ci sono 41.700 lavoratori in nero, con un tasso di irregolarità dell’11,4 per cento: significa che un lavoratore su dieci non ha un contratto regolare. È quanto fa sapere la Cgia di Mestre che ha analizzato i dati Istat 2021 anche alla luce degli ultimi episodi di caporalato che si sono verificati nell’Agropontino. Ammonta infatti a circa 68 miliardi di euro il volume d’affari annuo riconducibile al lavoro irregolare in Italia e il 35% circa di questo valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa è ascrivibile alle regioni del Sud. Nella nostra regione, in particolare, l’importo prodotto dall’economia sommersa sfiora il miliardo di euro (949 milioni) ed è pari al 4,6 per cento del totale del valore aggiunto prodotto in Umbria.

Un sistema, stima la Cgia, che coinvolge nel Paese poco meno di 3 milioni di persone; anche in questo caso è il Mezzogiorno l’area che presenta la percentuale più elevata, il 37,2% del totale. Il fenomeno tuttavia è esteso anche al Centronord ed ha una presenza record soprattutto nel settore dei servizi alle persone (colf, badanti). Il tasso di irregolarità di questo settore raggiunge il 42,6% Al secondo posto si collocano i lavori in agricoltura (16,8%), al terzo le costruzioni con il 13,3%. In particolare le regioni nelle quali la Cgia stima una maggior presenza di economia sommersa sono Calabria, Campania e Sicilia. Il valore aggiunto prodotto nel 2021 dal lavoro irregolare in Italia come detto è stato pari a 68 miliardi di euro, di cui 23,7 miliardi nel Mezzogiorno, 17,3 nel Nordovest, 14,5 nel Centro e 12,4 nel Nordest.

"Da sempre il fenomeno del lavoro nero/forzato è legato al caporalato – rileva la Cgia – Anzi, in moltissimi casi il primo è l’anticamera del secondo; non solo in agricoltura o nell’edilizia, ma anche nel tessile, nella logistica, nei servizi di consegna e di assistenza. Ad essere sfruttati sono i più fragili, come le persone in condizione di estrema povertà, gli immigrati e le donne. E il comparto maggiormente investito è sicuramente l’agricoltura".