
Leonardo Lidi "Tutta l’attualità di Zio Vanja"
"Se con “Il Gabbiano“ ci eravamo chiesti come incontrare il pubblico e con quale forma, adesso con “Zio Vanja“ vogliamo ragionare sull’ininfluenza: dell’uomo sul proprio pianeta, dell’attore sul palcoscenico, dell’arte, del teatro e della cultura sulla società di oggi". Leonardo Lidi (foto sopra), regista e drammaturgo tra i più apprezzati della nuova scena italiana, parte da qui per raccontare la seconda tappa del Progetto Cechov: è lo spettacolo “Zio Vanja“, una coproduzione del Teatro Stabile dell’Umbria che dopo il debutto ai Due Mondi a Spoleto, arriva al Morlacchi da mercoledì 29 novembre a domenica 3 dicembre. Sul palco, in ordine alfabetico, Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani e Giuliana Vigogna (nella foto sotto).
Lidi, si riparte dall’ininfluenza..
"E’ quella che ci suggerisce il testo, tutti i personaggi si dicono e sono totalmente ininfluenti a cominciare dal protagonista, Vanja. Nessuno crede più nella forza dell’individuo, tranne Astrov, ecologista profetico".
E perché questa riflessione?
"Dopo la pandemia, con Nino Marino direttore del Tsu, abbiamo deciso di ripartire da Cechov per riflettere a 360 gradi sul teatro italiano e sulla condizione dell’attore. Durante il covid eravamo nell’ultima casella di pensiero, considerati del tutto ininfluenti. Per noi che viviamo di questo è ovviamente una provocazione ma anche una domanda sincera su come si può reagire rispetto a questa considerazione esterna".
La risposta si trova in scena?
"E’ nel progetto, molto particolare perché richiede tre anni di vita con attori che passano tanto tempo insieme. Sono loro la vera risposta, il cambiamento che Cechov ci chiede: che la macchina produttiva rimetta al centro del pensiero gli attori".
Come sarà il suo “Zio Vanja“? Cechov le lascia libertà?
"A livello drammaturgico non tocco una parola. Sono abituato a stravolgere, ma qui non ne sento la necessità, il testo dice già tutto, è troppo contemporaneo per dover forzare la mano. Invece a livello di regia mi prendo delle libertà per tenere alta la soglia del divertimento, con i costumi, l’ambientazione spostata dal suo tempo, e piccoli dettagli che fanno ridere gli spettatori. Ogni sera il pubblico si intenerisce e ride, è un equilibrio molto bello".
Qual è la grande attualità di questo classico?
"L’ininfluenza dopo la pandemia mi sembra un tema fortissimo, siamo davanti a un pianeta che ci dice qualcosa ma non riusciamo ad agire, ci sono tanti movimenti che cercano di ricordarci che possiamo fare qualcosa. Poi il ruolo dell’individuo nella società e anche un aspetto che mi piace molto: Cechov accetta tutti i difetti dell’umano, anzi li valorizza perché la nostra complessità è a 360 gradi. Non siamo belli come appare nelle pagine dei social".
Il progetto si chiude con “Il giardino dei ciliegi“ atteso al Festival dei Mondi. Come sarà?
"Lo scopriamo di volta in volta, il bello del progetto è di avere tempo. Ma due cose già mi interessano. La prima è che Cechov chiude con un’eredità molto tragica. La seconda è la vendita della casa, ritenuta inutile e non più produttiva. In un processo creativo che parla della centralità del teatro ci farà fare molte riflessioni".
Ha da poco recitato nella serie tv “Everybody Loves Diamonds“ con Kim Rossi Stuart. Le piace muoversi tra le arti?
"Ho iniziato come attore, il cinema e la televisione sono rimaste un’isola di divertimento dove continuo a tener viva l’arte della recitazione visto che a teatro mi concentro solo sulla regia. E penso sia importante far dialogare forme diverse, trovare punti di contatto e di incontro. Per un attore di oggi il comune denominatore è sempre la credibilità".