REDAZIONE UMBRIA

L’Umbria boccia lo smart working

Il 20% delle imprese dichiara un calo della produttività e il 27% ha visto aumentare i costi operativi

Le imprese umbre bocciano lo smart working. Un’indagine Istat rivolta alle imprese con più di tre addetti rileva che, da giugno a novembre 2020, in Umbria 78 imprese su 100 hanno adottato cambiamenti più o meno consistenti e di diversa natura nella gestione del personale, con risultati altalenanti. Ma il lavoro a distanza ha provocato un calo della produttività.

A tirare le fila del lavoro sono stati Mauro Casavecchia ed Elisabetta Tondini, di Agenzia Umbria Ricerche. Dall’indagine emerge che per 4 imprese su 5 con più di tre addetti, in Umbria come in Italia, "la natura dell’attività rende impossibile lavorare a distanza e, ove questa pratica è possibile, tende a interessare solo quote minoritarie del personale". Di fatto, le imprese con oltre tre addetti che nel primo lockdown hanno sperimentato il lavoro a distanza in Umbria sono state il 17% del totale (21% in Italia), una quota che nel semestre successivo si è quasi dimezzata. "È ragionevole ipotizzare dunque che – spiegano all’Aur– , non appena si sono verificate le condizioni per riprendere il lavoro in presenza, gran parte delle imprese abbiano preferito tornare indietro. L’elevato maggior addensamento intorno all’affermazione per cui il lavoro a distanza non ha prodotto effetti di rilievo sull’azienda convive con alte percentuali di risposte riguardanti gli effetti negativi su performance aziendale e costi: quasi un quinto delle imprese ha infatti dichiarato un calo di produttività, il 30% una diminuzione nell’efficienza della gestione dei processi produttivi, un 27% un aumento dei costi operativi. Al contrario – spiegano i due ricercatori – solo il 9% delle imprese ha dichiarato un aumento della produttività, una quota analoga ha segnalato una maggiore efficienza produttiva e un 14% di imprese una diminuzione dei costi operativi.

I riflessi sul personale che ha sperimentato il lavoro a distanza sono stati divergenti: un certo miglioramento del benessere lavorativo ha interessato il 38% delle imprese ma, come era ovvio aspettarsi, nel 45% dei casi è stata segnalata una diminuzione della relazionalità interpersonale. Una nota sicuramente positiva si riscontra comunque nel visibile aumento degli investimenti in tecnologie e in formazione.

Note dolenti anche per il ricorso a strumenti di sostegno del costo del lavoro (cassa integrazione guadagni in primis, e poi fondo integrazione salariale, fondo solidarietà bilaterale artigianato ecc.) che ha coinvolto quasi la metà delle imprese regionali (49,5%), a fronte del 42% su base nazionale. Nella scorsa primavercon il primo lockdown a tale misura aveva interessato il 73% delle imprese umbre e il 63% di quelle italiane.

M.N.