Un totale di 277 anni di condanna per 31 dei 49 imputati del processo Quarto Passo che ha ipotizzato infiltrazioni di natura ‘ndranghetista in Umbria. I giudici hanno riconosciuto l’esistenza di un’associazione a delinquere di tipo mafioso che, nella ricostruzione dell’accusa, si sarebbe inserita nel tessuto economico regionale. L’indagine risale al 2012. Secondo quanto sostenuto dall’accusa, i presunti componenti del sodalizio si sarebbero uniti "al fine di commettere una serie indeterminata di delitti di usura, estorsione (anche mediante incendio di attività commerciali e beni privati), truffa e furto aggravati, nonché di acquisizione in modo diretto o indiretto il controllo di attività economiche".
Sempre per l’accusa, gli imputati sarebbero stati l’emanazione di alcune ’ndrine della zona di Cirò e Cirò Marina, pur mantenendo rispetto ad esse una certa autonomia di azione e intenzionate a fare affari anche in un mercato, come quello umbro, relativamente "tranquillo". Affari avviati in più settori portati avanti anche con "modalità tipicamente mafiose di acquisizione e condizionamento di attività imprenditoriali, in particolare nel settore edile, anche mediante incendi e intimidazioni con finalità estorsive". Il tentativo, ben avviato secondo l’ipotesi accusatoria, di mettere le mani sull’economia umbra, in particolare Perugia, con base operativa a Ponte San Giovanni, si sarebbe concretizzato anche con l’acquisizione di 39 imprese, 106 immobili, 129 veicoli, 28 contratti assicurativi, oltre 300 rapporti bancari e di credito.
La pubblica accusa, rappresentata dal pm Gemma Miliani, aveva chiesto complessivamente 365 anni di reclusione per 46 imputati, a 35 dei quali veniva contestata l’ipotesi di associazione a delinquere, con condanne chieste fino 29 anni. Gli imputati sono stati difesi dagli avvocati Adorisio, Cozza, Modesti, Modena, Paccoi, Egidi, Schettini, Figoli, De Lio, Zaganelli, Nannarone, Modena, Balani, Zaganelli e Zinci. Si sono costituite parte civile la Regione Umbria, il Comune di Perugia, Cgil, Libera e le associazioni "Paolo Borsellino" e "Antonino Caponnetto". La sentenza di ieri, per quanto di primo grado, rappresenta la prima di questo tipo in Umbria.