REDAZIONE UMBRIA

"Mio padre scomparso: chi sa parli Era un giudice, lo Stato lo ricordi"

L’appello di Lorenzo Adinolfi figlio del magistrato Paolo svanito nel nulla a 52 anni. Un libro ora riapre il “caso“

"Il nostro è un appello per la verità: chi sa parli. Chiedo solo di poter avere un luogo dove piangere mio padre". L’avvocato Lorenzo Adinolfi lancia un nuovo appello, l’ennesimo: è un uomo di legge, come il padre Paolo, giudice, svanito misteriosamente nel nulla il 2 luglio del 1994, a 52 anni. A “riaprire“ il caso sono Alvaro Fiorucci e Raffaele Guadagno che hanno appena pubblicato il libro “La scomparsa di Adinolfi“. Perché quella scomparsa è un mistero, da ventisette lunghissimi anni.

Due inchieste se ne sono occupate: una condotta dal Fausto Cardella, archiviata nel 1996 con l’ipotesi dell’allontanamento volontario; la seconda (aperta dopo le dichiarazioni di un pentito), condotta da Alessandro Cannevale e archiviata nel 2003 per mancanza di prove, nonostante fosse chiaro che ci si trovasse di fronte a un omicidio e alla conseguente sparizione del cadavere. "Eravamo una famiglia normale, papà era un uomo sereno, durante un’estatequalunque. Mio padre era giudice di Corte d’appello quando è scomparso – racconta Lorenzo Adinolfi –: da due anni, dopo due provvedimenti presi contro sue iniziali decisioni, aveva lasciato la Sezione fallimentare del Tribunale civile di Rom. Ed è proprio nel lavoro che faceva che si deve cercare la causa della sua scomparsa. So bene, da avvocato, che sono necessari dei presupposti giuridici per la riapertura del caso – continua il figlio del giudice –, ma mi auguro che il libro di Alvaro e Raffaele sia l’occasione per chi sa di parlare. Abbiamo bisogno di conoscere la verità".

Una verità che, anche dal libro di Fiorucci e Guadagno, appare chiaro giri tutta intorno al lavoro del giudice Paolo Adinolfi: "Ci sono nomi – spiega Fiorucci – che si ripresentano più e più volte nelle carte delle inchieste sulla scomparsa di Adinolfi, molti dei fallimenti di cui si era occupato hanno nome comune, quello di Enrico Nicoletti, il ’cassiere’ della Banda della Magliana. Abbiamo fatto un lavoro di scavo archeologico cronache giudiziarie e, soprattutto, siamo convinti che questo sia un caso che non possa essere dimenticato". Proprio sul tema del ricordo batte molto anche Lorenzo Adinolfi: "Mio padre Paolo era un uomo dello Stato che ha servito con passione e professionalità. Anche lui meriterebbe di essere ricordato, al pari di altri. In questi anni, abbiamo ricevuto decine di attestati di stima di giovani praticanti avvocati affascinati dalla sua storia. Ecco questo noi vorremmo: conoscere la verità, avere un luogo dove portare un fiore e che venga fatta giustizia. E che lo Stato itiliano non dimentichi chi si è impegnato, fino a morire, per garantire la corretta applicazione della legge".

Annalisa Angelici