Assisi (Perugia), 29 gennaio 2023 - Gli ultimi momenti di vita di Davide Piampiano sarebbero tutti lì, nel video della sua telecamera, con la quale immortalava le sue uscite a caccia per poi condividerle sui social. L’ultimo video, come sottolineano gli inquirenti, è drammatico. Perché racconterebbe, per filo e per segno, quello che è successo al Fosso delle Carceri il pomeriggio dell’11 gennaio. Le immagini e il microfono avrebbero captato il momento in cui un colpo di carabina raggiunge al petto Davide, la sua richiesta d’aiuto alla prima persona che gli si presenta davanti, quel Piero Fabbri, 57 anni, da venerdì in carcere con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale. Una richiesta disperata, di non lasciarlo morire. Invece, secondo quanto accertato dalle indagini dei carabinieri di Assisi, Fabbri avrebbe pensato a far sparire il suo fucile e la giacca che indossava, a scaricare il fucile di Davide per farlo sembrare un incidente.
I soccorsi li avrebbe chiamati solo alcuni minuti dopo l’amico di Davide che era andato a cercare il cane che si era allontanato. Al suo ritorno, la scena era quella di un incidente: Davide scivolato in un punto piuttosto accidentato, il colpo partito per caso dal suo fucile. Ma l’autopsia avrebbe rivelato subito una realtà differente: il ragazzo non era stato ferito mortalmente da un colpo a bruciapelo, ma da distanza, quella dalla quale Piero Fabbri avrebbe fatto fuoco, pensando che nella vegetazione ci fosse, come emergerebbe sempre dalle sue parole impresse nel file video, un cinghiale. Piero Fabbri, conosciuto come il Biondo, di professione muratore, era un amico di famiglia, molto legato a Davide, tanto che il ragazzo lo considerava un secondo padre. Agli investigatori, nelle ore immediatamente successive al fatto, aveva spiegato di non essere a caccia con i due amici, ma, abitando lì nella zona, di essersi spostato da casa verso il luogo da dove aveva sentito provenire lo sparo, per vedere se era stato abbattuto un cinghiale e, quindi, di aver trovare Davide ferito. In questo giorni di profondo dolore per la famiglia e per tutta la città, dove Piampiano era molto conosciuto, tanto per l’attività dei suoi genitori, quanto per il suo impegno nel Calendimaggio e sul campo con la maglia del Viole, Fabbri è stato sempre presente. Era a casa dei familiari, era al funerale del ragazzo.
Da ieri, come detto, è in carcere sulla scorta dei gravi indizi che i carabinieri, coordinati dalla Procura della Repubblica, hanno messo insieme in questi giorni di indagini, portando alla luce gli elementi per ipotizzare il reato di omicidio volontario con dolo eventuale, la stessa fattispecie ravvisata nel caso della morte di Marco Vannini, ferito dal padre della fidanzata, Antonio Ciontoli, con un colpo di pistola, e lasciato agonizzare per ore senza permettergli di essere soccorso. Anche in questo caso, gli inquirenti rilevano che Fabbri non ha volutamente dato l’allarme per mettere in atto il suo presunto depistaggio. Un ritardo che potrebbe aver fatto la differenza tra la vita e la morte. Martedì o al più tardi mercoledì, Fabbri sarà interrogato dal gip.