di Erika Pontini
Meno di un chilometro divide il casolare esploso da ’Ananda’, la comunità spirituale sulle campagne di Assisi che anche Fahnu Suneel, insieme alla moglie aveva deciso di seguire tanto da trasferirsi in un casolare accanto al Centro di meditazione che ospita un’ottantina di persone, circa 12mila presenze ogni anno per partecipare a corsi di yoga, meditazione e seminari.
Balzato alle cronache 17 anni fa in seguito ad una feroce indagine della magistratura finita con un niente di fatto, e un’assoluzione tombale per dieci imputati dopo l’onta degli arresti dei capi della comunità accusati di essere schiavi di anime invece che maestri di vita spirituale.
Oggi il Centro Ananda si è ingrandito, il contestato all’epoca Tempio della luce (la procura sostenne che era abusiva) è stato terminato e a giugno, dopo l’emergenza dettata dal Covid e una lungo periodo di spiritualità on-line, la comunità e la struttura ricettiva hanno riaperto le porte ai visitatori.
La portavoce di Ananda non vuole commentare la tragedia che ha colpito il 59enne. "Siamo molto dispiaciuti e preferiamo non parlare", spiegano dal Centro. Ma accettano di raccontare come la pandemia abbia riportato ad una scoperta dell’importanza del sè, e della meditazione. "Ci sono arrivate molte richieste da quando abbiamo riaperto", spiegano.
Dopo lo scandalo rimasto indelebile la cautela è tanta. "Preferiamo parlare di cosa facciamo qui dentro, non di cosa è successo".
Fondata nel 1968 da Swami Kriyananda (all’epoca fu addirittura ricercato) Ananda è un insieme di comunità spirituali, con centinaia di centri e gruppi di meditazione in America, Europa e in India.
"Sono veri e propri laboratori di vita basati sulla pratica quotidiana della meditazione, del Kriya yoga e sul principio di una ’vita semplice con alti ideali’", scrivono.
Ma nel 2004 l’impatto fu enorme: per molti ospiti era un ’paradiso’ per gli inquirenti una setta: in nove finirono agli arresti con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e alla truffa. Cinque giorni in carcere, dieci ai domiciliari fino alla decisione del tribunale del Riesame che restituì loro la libertà. Solo nel 2009, in udienza preliminare arrivò il proscioglimento: il gup Massimo Ricciarelli pronunciò sentenza di non luogo a procedere perché il "fatto non sussiste" mettendo fine all’odissea di Ananda e non accogliendo la ricostruzione dell’allora pm Antonella Duchini che aveva chiesto il rinvio a giudizio per reati gravissimi.
Tanto che gli avvocati difensori (Caforio, Di Baia e Di Mario) chiesero e ottennero il risarcimento anche per ingiusta detenzione.