Perugia, 26 gennaio 2023 - "Dopo cinque anni, stiamo ancora aspettando giustizia. La disumanità non deve diventare normalità". E ancora: "Intercettazione: c’è una bianca da stuprare. Ed era Pamela". Così recitano due degli striscioni che le amiche di Pamela Mastropietro hanno stesso in piazza Matteotti, davanti alla Corte d’appello. Cinque anni fa quasi, il 30 gennaio 2018, il corpo di Pamela Mastropietro, 18 anni, romana, viene trovato in un trolley lungo una strada, a Macerata. La ragazza è stata uccisa e fatta a pezzi. Forse, stando alle sentenze, violentata. Per quell’orrore è stato condannato Innocent Oseghale, riconosciuto colpevole in via definitiva, dell’omicidio. Per due gradi di giudizio è stato giudicato colpevole anche di violenza sessuale. Non per la Cassazione, che ha rimandato gli atti, per competenza, ai giudici perugini. Di fronte alla corte d’assise d’appello, presidente Paolo Micheli, si sta celebrando il processo bis. Su richiesta della procura generale, sono stati ammessi due testimoni, gli ultimi due ad aver visto Pamela, che si era allontanata dalla comunità terapeutica di Corridonia che la ospitava, e ad aver avuto rapporti sessuali con lei in cambio di denaro. I due testimoni non c’erano, ancora un rinvio, al 22 febbraio. Ancora un dolore che si rinnova per familiari e amici e che prende le tinte della beffa quando Oseghale, rispondendo alla domanda, dice di non voler tornare alla prossima udienza.
All’uscita dall’aula, si sfiora la rissa con la madre della vittima, Alessandra Verni, che si para davanti a Oseghale: "Dimmi che vuoi" a chiedere conto di un parlottio dell’imputato di cui si distingue un "Basta oppressione giudiziaria". Le amiche gridano la loro rabbia e l’indignazione per cinque anni di attesa, per quella giustizia che ha i suoi tempi che non sono mai quelli di chi da tutto questo tempo non riesce a chiudere la ferita. Alessandra chiede giustizia e che si continui a indagare, perché, dice, ci sono elementi che evidenzierebbero come la verità emersa finora sarebbe solo parziale, che si sarebbero altri complici, altrettanto responsabili di quel massacro che Alessandra e le amiche di Pamela hanno stampato sulle magliette e sulle foto ingrandite che hanno in mano: il corpo martoriato di Pamela. "Guardate come l’hanno ridotta. E noi continuiamo a discutere se c’è stata violenza o no".