ANNALISA ANGELICI
Cronaca

Adolescenti schiavi dei videogame

Niente scuola, sport, né amici. Reclusi in camera. Solo il computer. Ma è una malattia

Ragazza al computer (foto repertorio)

Perugia, 6 febbraio 2019 - Chiusi in camera, senza alcun contatto con l’esterno. Niente scuola, nessuno sport, relazioni sociali azzerate. Unico compagno di vita il computer, dal quale non ci si può staccare: devi essere sempre connesso, non puoi allontanare gli occhi da quel gioco. Non è una scena di un film di ultima generazione, non sono storie che arrivano dal Giappone dove l’“hikikomori” da anni è un fenomeno sociale. È quanto accade anche in Umbria, ai nostri ragazzi, iperconnessi, ammaliati e ammalati di videogiochi in cui si combatte per sopravvivere, dimenticando che la “vita” è lontana dalla schermo di un pc.

È una scena quotidiana per chi ha un figlio adolescente in casa: la battaglia per far “mollare” il joystick e prendere in mano un libro, o semplicemente guardare altrove piuttosto che un pc. Ce lo racconta Sonia Biscontini, direttore del Dipartimento dipendenze della Uls 2. I rinnovati uffici del SerD (Servizio Dipendenze) di Foligno hanno accolto diversi ragazzi umbri che si erano isolati dal mondo, murati vivi nella loro stanza, e che non riuscivano a staccarsi dal computer neanche per mangiare.

- Dottoressa Biscontini, è così vicino anche a noi questo fenomeno?

«Sì, e negli ultimi due o tre anni è cambiato in maniera molto veloce. Tanto che abbiamo spostato la nostra attenzione anche sui minori adolescenti, dai dodici anni in su. I ragazzi lentamente abbandonano la socialità per vivere esclusivamente nella loro stanza, davanti al commputer. Con le serande abbassate, mangiando un panino che la mamma passa loro attraverso la porta. Il loro unico obiettivo è state collegati a un videogioco. Nient’altro».

- Come si arriva a questo punto? Quali sono segnali che devono far preoccupare un genitore?

«L’abbandono della socialità è il segnale più importante: quando i ragazzi scelgono di giocare al computer piuttosto che fare sport, uscire con gli amici o andare a una festa. In alcuni casi si arriva anche all’abbandono della scuola. Ci siamo trovati di fronte a situazioni davvero difficili. Un campanello d’allarme importante per i genitori è la difficoltà del ragazzo a staccarsi dal videogioco, la resistenza che fa quando gli si chiede di smettere. E, poi, altro indicatore di disagio, se reagisce con aggressività quando lo si costringe a lasciare. Nei casi più gravi l’aggressività si manifesta anche nei confronti degli stessi componenti della famiglia».

- Con il telefonino può accadere la stessa cosa?

«Anche il telefonino consente di installare giochi e di essere sempre connessi. Occorre essere attenti anche all’uso che i ragazzi fanno del cellulare».

- Come possono i genitori aiutare i propri figli a evitare la dipendenza?

«Non esiste una ricetta. In famiglia la cosa più importante è parlare, dare punti di riferimento, regole certe, trasferire valori e essere autorevoli. Ma occorre anche dare fiducia al ragazzo, controllando quello che fa ma facendogli sentire che si crede in lui».

- Le strategie di aiuto?

«Coinvolgere la famiglia, innanzitutto. E non sempre è facile. Poi essere informali, accostarsi con delicatezza ai ragazzi e ai loro problemi. Qui a Foligno abbiamo rinnovato gli ambienti del Ser.D. anche per questo: per rendere il luogo più accogliente e “caldo” per giovani e per le persone adulte che si rivolgono a noi. Poi, in ultimo, è importante cercare di utilizzare lo stesso linguaggio dei ragazzi: è per questo che stiamo pensando anche a una chat di whatsapp alla quale fare riferimento. Dobbiamo utilizzare i loro strumenti per intervenire con più efficacia».