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Solo pochi giorni fa Albano Agabiti, presidente di Coldiretti Umbria, ha lanciato l’ennesimo appello: "Occorre al più presto ristabilire l’equilibrio della popolazione dei cinghiali, stimata in circa 130.000 esemplari: è almeno di quattro volte superiore ad un limite ‘sopportabile’". A farne le spese gli agricoltori, tanto colpiti quanto quasi disarmati di fronte ai danni provocati dalla fauna selvatica. Uno di questi è Osvaldo Nimbi, umbertidese, che coltiva ad ortaggi (o almeno tenta, cinghiali permettendo) otto ettari di terreno a San Cassiano, suddivisi in vari campi.
Nimbi, peraltro malato (invalido quasi al 70%), è stremato dai danni, dalle spese e da quello che lui chiama il "silenzio delle istituzioni" a cui, dice, "mi sono rivolto più volte senza avere un aiuto concreto e soprattutto decisivo". L’agricoltore ha riportato anche danni fisici provocati dalla fauna selvatica a riprova della gravità del problema: nel 2019 è stato travolto da un cinghiale e da un capriolo. Solo un mese fa un altro cinghiale lo ha ’investito’ gettandolo a terra. "Ho chiesto negli anni all’Atc – racconta – recinzioni elettrificate ed abbattimenti selettivi". Anche le stime dei danni non sono congrue, sottoposte come sono ad una serie di cavilli (franchigia, calcolo del danno visibile solo il giorno della perizia che non comprende anche quello dei giorni precedenti, se rimosso dal campo), tempi lenti. A ciò si aggiunge la scarsa efficacia degli abbattimenti selettivi: "A me – rimarca l’agricoltore – basta un solo cinghiale o un capriolo a far danni irreversibili". Ogni anno Nimbi perde dai 5.000 ai 7000 euro a causa della fauna selvatica "ma gli indennizzi – denuncia – arrivano con un ritardo anche di un anno e sono insufficienti a causa dell’esiguità dei fondi". L’uomo ha chiesto aiuto più volte trovando, dice, poco ascolto sia all’Atc che in Comune (il quale però, va detto, non ha alcuna responsabilità in materia): "Sono quindici giorni che cerco un appuntamento in municipio – lamentava l’altro ieri – ma non mi viene dato".
L’agricoltore chiede una mano: in sostanza che qualcuno, in qualche ente, si faccia carico del suo caso e lo aiuti. "Il mio unico lavoro è questo – dice esasperato – e non posso più vedere vanificati i miei sforzi, economici e fisici. Le istituzioni devono gestire la fauna selvatica in modo da renderne sostenibile la convivenza con gli agricoltori. Io, con la mia invalidità che non mi consente però di avere una pensione, sono costretto a lavorare per vivere, i miei campi sono la mia unica fonte di reddito. Sono sette mesi che non guadagno quasi nulla. Devo rivolgermi ai servizi sociali? Non ce la faccio più".
Pa.Ip.