REDAZIONE UMBRIA

Sara Trasciatti: l'infermiera eroina che ha salvato la speleologa Ottavia Piana

Sara Trasciatti, infermiera e soccorritrice, racconta il salvataggio della speleologa Ottavia Piana dalle grotte dell'Abisso.

La squadra del Sasu composta da Sara Trasciatti, Silvano Archetti e Alfredo Cozzi Lepri

La squadra del Sasu composta da Sara Trasciatti, Silvano Archetti e Alfredo Cozzi Lepri

"Vederla abbracciare il fidanzato è stato il momento più bello". Sara Trasciatti ha 28 anni, è infermiera professionale e lavora in Terapia Intensiva, nel reparto Rianimazione di Foligno. Lei, il suo coraggio, la sua professionalità e la sua determinazione hanno aiutato Ottavia Piana a uscire dall’Abisso (di nome e di fatto), il sistema di grotte sulla costa bergamasca del Lago d’Iseo, dove la speleologa 32enne era rimasta infortunata (e quindi bloccata) sabato scorso, durante un sopralluogo. Sara Trasciatti è una operatrice del Soccorso alpino e speleologico dell’Umbria. Il Sasu è intervenuto a Bueno Fonteno con due squadre: tecnici disostruttori, operatori della logistica e lei, soccorritore sanitario, che ha fatto con Ottavia gli ultimi metri, accompagnandola dalle 19 all’uscita dall’Abisso, qualche minuto prima delle tre di notte.

Sara, che esperienza è stata? "Una prova importante per me, per il personale coinvolto e, ovviamente, per la speleologa ferita. È stata quattro giorni su un asse spinale, immobilizzata, con traumi rilevanti, in una grotta che conosce a memoria, comprese le difficoltà di risalita".

Lei a che punto dell’operazione di soccorso è arrivata?

"Sono intervenuta nel tratto finale del recupero. Sono infermiera e speleologa, specializzata nel soccorso. Il mio compito, con il medico, era quello di tenere costantemente monitorate le condizioni della ferita, di aiutarla a tenere a bada il dolore e sostenerla, anche psicologicamente. Non è una donna molto loquace, ma il viso parlava per lei, voleva uscire. Qundo si è resa conto che la fine dell’incubo era più vicina, il suo umore è cambiato ed è diventata molto più collaborativa".

Ci sono stati momenti critici?

"In alcuni tratti è stato necessario verticalizzare la barella quasi completamente: per noi il compito di verificare costantemente i parametri emodinamici, garantendo un controllo farmacologico del dolore. Lei ha dovuto tenere duro, resistendo al dolore e anche dal punto di vista psicologico".

Ventotto anni. Quando si è accesa la luce del soccorso con il Sasu?

"È stato casuale. Avevo scoperto una palestra speleo in un evento sportivo in città. Così è nata la passione per la montagna, l’arrampicata e la grotta. Dopo la laurea in Infermieristica mi sono avvicinata al mondo del soccorso e mi sono specializzata. Ma gli interventi sono merito di tutta la squadra, sempre. E ci tengo a ringraziare tutti".

AnnA