Nel nostro paese le persone con disabilità sono più di tre milioni, il 5,2% della popolazione. L’inclusione dei disabili nel mondo dello sport è un’attività relativamente recente. Il primo a capirne l’mportanza è stato il neurologo Ludwig Guttman quando nel 1944, nel centro di riabilitazione motoria di Stoke Mandeville, in Inghilterra, organizzò allenamenti specifici per sollecitare la collaborazione attiva dei disabili.
L’iniziativa ebbe così successo che dal 1960 questa pratica divenne internazionale. Nello stesso anno, infatti, a Roma ci furono le prime paralimpiadi. Il Cip (comitato italiano paralimpico) attualmente riconosce 21 federazioni sportive paralimpiche autonome, 13 discipline, 12 enti e società di promozione sportiva e 5 associazioni benemerite. In passato la disabilità era vista solo come un limite ma oggi anche il mondo dello sport contribuisce alla sua piena inclusione. L’Italia svolge un impegno concreto per consentire alle persone con disabilità di praticare sport anche agonistici. Alcune manifestazioni sportive come quelle di “sportABILI“ sono dedicate al coinvolgimento agonistico di grandi e piccoli con disabilità e raccolgono fondi per associazioni impegnate in questo ambito. Anche le scuole si impegnano attraverso la pratica di alcuni sport come il sitting volley per aumentare l’inclusione in classe. L’attività sportiva apporta dei noti benefici al corpo, alla mente, all’umore e all’equilibrio; l’organismo produce endorfine con la riduzione di ansia, stress e nervosismo così da aumentare il benessere emotivo generale. Per i disabili, quindi, praticare un qualsiasi sport è molto importante. Gli sport più diffusi consentono loro l’accesso, come pure alcuni più settoriali come l’hockey o il golf. Tuttavia ce ne sono alcuni che non si sono ancora attrezzati, quindi le federazioni sportive si stanno impegnando per eliminare queste limitazioni con la speranza che a breve tutti gli sport possano essere praticati da chiunque.
Nel campo agonistico, però, molti atleti disabili non godono della stessa considerazione di quelli cosiddetti “normali”: ciò è aggravato dal pensiero comune che classifica gli atleti disabili come atleti di secondo livello. Per combattere ogni pregiudizio e discriminazione anche i media stanno parlando sempre di più di questa categoria di atleti che a volte raggiunge record notevoli. L’obiettivo rimane quello di dare un’adeguata importanza a tutte le categorie di atleti mettendoli alla pari. La disabilità pertanto non deve essere vista come una limitazione ma come una libera espressione di sé che può diventare un incoraggiamento e un esempio per tutti.