SILVIA ANGELICI
Cronaca

Storia della Resistenza senz’armi. I tenaci volontari della libertà

Il filo del forte “no“ al nazi-fascismo genera la trama dei giusti. Valori consacrati in Costituzione. CLASSE III B SCUOLA MEDIA BIRAGO (PASSIGNANO SUL TRASIMENO).

Il “no“ dei militari italiani a collaborare con l’esercito nazifascista

Il “no“ dei militari italiani a collaborare con l’esercito nazifascista

Perugia, via Trattati di Roma: un’alta garitta commemora “uno dei capitoli più bui ma poco noti della nostra Storia, che ha riguardato molte famiglie italiane durante la seconda guerra mondiale”, come ci ha spiegato in una conferenza a scuola il dottor Marco Terzetti, presidente della sezione umbra dell’Anei (Associazione nazionale ex internati nei lager nazisti). Dopo l’armistizio con gli Anglo-Americani, annunciato l’8 settembre 1943, i tedeschi chiedono a 800.000 militari italiani sparsi per l’Europa di continuare a combattere dalla loro parte: 630.000 dicono “no” alla collaborazione, un no tanto più significativo se si considera che si tratta di giovani formati nell’epoca del fascismo, che concepisce la guerra come manifestazione di vitalità.

Disarmati, deportati, sottoposti ad atroci sofferenze, il 20 settembre 1943 Hitler li definisce “Imi“, Internati militari italiani che, al contrario dei comuni prigionieri, non sono protetti dalla Convenzione di Ginevra e non hanno diritto all’assistenza da parte della Croce Rossa Internazionale. Così, senza alcuna tutela, gli IMI sono costretti al lavoro, al freddo, alla violenza, alla fame, in confronto alla quale quella che ci capita di provare talvolta è solo un “leggerissimo appetito”, come il dott. Terzetti racconta che gli diceva suo padre Bruno, ex Internato. Il 40% degli IMI si ammala di tubercolosi, eppure nessun cedimento al ricatto dei nazisti: il no degli Internati si fa sempre più consapevole, con una determinazione che li conduce ad un duro e lungo destino. La notizia non arriva in Italia per la censura della propaganda fascista, che esalta invece la cosiddetta “civilizzazione” del 20 luglio 1944, un accordo fra Hitler e Mussolini per cui gli IMI passano allo status di lavoratori civili. Un grande cambiamento, ma solo agli occhi di chi è esterno a questa cruda realtà. Per oscurare la verità vengono approvati alcuni “diritti”, tra cui un salario fisso di 120 marchi al mese per 72 ore lavorative settimanali.

Sono più di 50.000 le vittime fra gli Imi e anche coloro che riescono a sopravvivere non sono più gli stessi. Un enorme sacrificio, dunque, per garantire il futuro che viviamo noi oggi, una scelta di cui dobbiamo custodire la Memoria, di recente anche formalizzata in una giornata celebrativa, per non dimenticare che il deciso no degli IMI alla guerra e alla violenza ha portato all’affermazione dei principi fondamentali della nostra Costituzione: il rispetto della persona, la pace, la democrazia!