ANDREA FABBRI
Cronaca

Terni, nuova "luce" per il restauro del teatro Verdi

Blitz dell'assessore alla cultura al Tetaro della Fortuna di Fano, uno dei gemelli polettiani del teatro ternano. Comune pronto a rifare un teatro all'italiana? Se ne parlerà in un Open Day

Il Teatro della Fortuna di Fano

Terni, 22 gennaio 2016 - Si acende una fiammella, debole, ma di speranza, per lo sblocco della complicata opera di restauro e riapertura del teatro comunale di Terni intitolato a Giuseppe Verdi chiuso ormai da 5 anni. L'assessore alla cultura del Comune di Terni, Giorgio Armillei, giovedì mattina ha fatto un blitz al Teatro della Fortuna di Fano, uno dei gemelli "minori" della versione polettiana del teatro Verdi di Terni. Com è noto, il teatro comunale di Terni, venne progettato e realizzato dall'architetto Luigi Poletti a metà del 1800. Era un teatro all'italiana, ovvero con una sala sviluppata a forma di ferro di cavallo su tre ordini di palchetti oltre al loggione. Poletti realizzò altri due teatri con le stesse fattezze: uno appunto a Fano e uno, più grande, a Rimini. L'architettura era quella classica del teatro all'italiana oggi universalmente rappresentata dall'immagine del Teatro Alla Scala di Milano con il quale, peraltro, il Verdi di Terni a fine ottocento collaborò molto. Il teatro ternano venne intitolato a Giuseppe Verdi nel 1901. Nella seconda guerra mondiale una bomba distrusse il proscenio lasciando pressoché intatta la sala, ma ovviamente il teatro era da rimettere in piedi. Gli anni del dopoguerra assegnavano ben altre priorità alla città e così, nel 1946, l'amministrazione comunale di Terni per rimettere in piedi il teatro (che negli anni precedenti aveva visto l'esecuzione di grandi opere liriche come l'Aida) optò per quello che oggi si chiamerebbe project-financing: ovvero dette in concessione il teatro alla famiglia Lucioli per 60 anni in cambio dell'impegno a riaprire il teatro quanto prima investendo ovviamenemte proprie risorse. Lucioli, dunque, metteva i soldi per riaprire il teatro e poi lo avrebbe gestito per 60 anni, ma a quei tempi le finanze erano scarse e l'investimento di conseguenza fu davvero ingente. Occorreva un modello di gestione "conveniente" in grado di far recuperare l'esborso. Gli americani, oltre alla libertà, portarono molte altre cose, tra le quali il cinemascope che fu una vera e propria rivoluzione, una innovazione d'avanguardia con un futuro assicurato in considerazione anche del fatto che la televisione nacque soltanto nel 1954 e non fu subito presente in ogni abitazione. Quello cinematrografico era dunque il modello di business più promettente.  Lucioli, dunque, trasformò il "vecchio" teatro Verdi in un cimena-teatro moderno dismettendo completamente le fattezze originarie del teatro all'italiana.

Passati i 60 anni di convenzione, il cinema-teatro è tornato nella disponibilità del Comune, ma in condizioni non idonee all'apertura al pubblico. E' necessaria una complessa operazione di restauro che si sintetizza in milioni di euro da mettere in gioco. Il Comune non è in grado di farvi fronte da solo e quindi da tempo è in atto un dibattito su chi finanzia e perchè; ovvero con quali modalità e con quali ritorni economici. Per il momento il Comune ha approvato un progetto di restauro che prevede il consolidamento e la riproposizione strutturale del cinema-teatro nella versione post-guerra: ovvero platea e galleria a sbalzo. Ma anche per questa soluzione apparentemente più semplice servirebbero comunque circa 11milioni di euro.  Una parte di città (associazioni, intellettuali, ecc.), invece, è convinta che se si pensasse a riportare il teatro Verdi agli antichi fasti del teatro all'italiana, e quindi nella versione originaria di Luigi Poletti, soldi e modello di gestione per un completo restauro potrebbero trovarsi più facilmente. 

Il dibattito è incandescente e l'attuale assessore alla cultura, Giorgio Armillei, giura di essere disponibile a valutare in maniera approfondita qualsiasi tipo di soluzione. Per questo giovedì mattina si è recato a Fano per "ispezionare" il Teatro Della Fortuna, ma soprattutto per comprenderne le modalità di gestione e i percorsi seguiti dall'amministrazione comunale marchigiana per giungere al suo splendente restauro. Che sia un segnale di apertura alla possibilità di rivedere l'attuale progetto nella direzione di un teatro all'italiana e quindi sbloccare disponibilità di finanziamenti a suo tempo aleggiati dalla Fondazione Carit?

Forse sì, forse no. Certo è un segnale. Quando tre anni fa venne approvato l'attuale progetto definitivo non ci fu tale sensibilità. Inoltre, nel Documento Unico di programmazione (il documento che vincolerà le spese di bilancio per i prossimi anni) recentemente approvato dalla giunta comunale l'amministrazione presenta l'intenzione di un "adeguamento strutturale. E siccome il progetto strutturale che prevede la riedizione del cinema-teatro è stato approvato tre anni fa, l'inserimento di questa espressione in un documento che parla al futuro potrebbe essere letto come un altro segnale volto al cambio di rotta.

Condizionali e congetture che potranno essere fugati e confermati solo dalle azioni concrete cui saranno chiamati nei prossimi mesi gli assessori alla cultura Armillei, all'urbanistica Andreani e ai lavori pubblici Bucari. Per intanto si lavora a un Open Day, una giornata di confronto aperto proprio sul futuro del teatro Verdi che dovrebbe essere organizzata la prossima primavera. Evento che potrà raggiungere lo scopo che si prefigge (raccogliere idee operative per sbloccare la 'questione Verdi') soltanto se non ci saranno confini eccessvamente rigidi per contraddittori su idee contrapposte. Se sono rose...