Cervino
Cosa spinge un ragazzo di 19 anni a fidarsi di un coetaneo che non ha mai visto, a tal punto da farsi convincere a morire? Cosa porta i nostri giovani a chiudersi in quelle stanze virtuali, senza contatto, lasciando fuori gli affetti più cari? Andrea poteva essere salvato. Non voleva morire. In quell’ultima chat, in quel maledetto giorno di gennaio, aveva avuto un ripensamento. Aveva bisogno di aiuto. Di qualcuno che gli dicesse che valeva la pena vivere. Di una parola gentile, un abbraccio. Ma dall’altra parte del cellulare purtroppo non c’era il padre, né la madre o la sorella gemella. Ha tenuto tutti all’oscuro, nascondendo difficoltà e timori. Quelle paure normali alla sua età. E sulla sua giovane strada ha incontrato uno sconosciuto travestito da amico. Un diciottenne, ancora liceale, che non solo non ha provato ad aiutarlo ma che in quei momenti di flebile speranza lo avrebbe spinto nel buio. "Prendi gli oppiacei col vino, non sentirai niente". Non un consiglio, ma un macabro rituale dell’indifferenza. Disprezzo della vita. E quando lo studente non ha più risposto ai messaggi, a una terza persona entrata in chat ha scritto in maniera agghiacciante: "Guarda che stai parlando con un morto". Con l’unica preoccupazione di non farsi trovare. Di cancellare le tracce. Di sparire come se nulla fosse accaduto. Senza chiamare i soccorsi. E allora viene da chiedersi, chi ha ucciso davvero Andrea? Questa società dell’indifferenza, che non sa guardare oltre se stessa? Che non sa capire, che si sfiora senza toccarsi. Che si parla senza ascoltare. La sua morte sia da monito per tanti ragazzi che nel web trovano un abisso estremamente pericoloso. Ma anche un appello a tutti noi, a guardarci intorno per chiederci: quanti giovani come Andrea conosciamo? Possiamo aiutarli? Chi è in difficoltà non dovrebbe cercare conforto in una chat, ma in persone vere, in carne e ossa, che possano accoglierlo, ascoltarlo e supportarlo davvero.