Al Sant’Anna nasce il drone bagnino: "Lancia un salvagente in poco tempo. Può salvare l’80 per cento delle vite"

L’idea di Ettore Ardisson, 36enne di Livorno, sviluppata dalla scuola pisana. "Obbligatori su ogni nave". Implicazioni anche a terra: "Si possono usare negli stabilimenti. Creeranno nuovi lavori sulla costa". .

Al Sant’Anna nasce il drone bagnino: "Lancia un salvagente in poco tempo. Può salvare l’80 per cento delle vite"

Il drone che la Human Drone Team ha sviluppato per facilitare il soccorso in mare in caso di emergenza

È nato il drone bagnino, un progetto dell’azienda livornese HumanDroneTeam realizzato con l’ausilio dell’istituto di Biorobotica della scuola Sant’Anna. L’idea è di Ettore Ardisson, imprenditore 36enne di Livorno che dal 2007 è attivo nel volontariato per la Misericordia di Montenero, per il quale "non è ammissibile che nel 2024 i soccorsi in mare siano privi di tecnologie evolute e al passo coi tempi".

Ardisson, come funziona?

"Si tratta di un drone che trasporta alle persone in difficoltà un giubbotto di salvataggio che si gonfia a contatto con l’acqua, una radio vhf e una luce lampeggiante di sicurezza. A noi arriva un messaggio di allarme e in circa due minuti e mezzo possiamo essere in volo per trasportare questi strumenti di prima necessità ai naufraghi. Inoltre, a differenza di elicotteri o altri mezzi di soccorso, il nostro drone può volare in qualsiasi condizione atmosferica avversa, resistere agli urti e persino galleggiare".

È pensato per aiutare i soccorritori, quindi.

"Esattamente. In media ci vuole almeno un’ora perché giungano i soccorsi in mare. Noi invece in una decina di minuti possiamo arrivare sul posto e tamponare la situazione in attesa del salvataggio. Abbiamo stimato che mediamente, se al nostro primo soccorso col drone segue una tempestiva risposta degli addetti ai salvataggi, c’è l’80% di possibilità di scongiurare eventuali vittime".

L’idea nasce dalla sua esperienza nel volontariato?

"Principalmente sì. Ho lavorato per oltre 15 anni nelle associazioni di soccorso e nella Protezione Civile. Ho imparato che si perde tanto tempo nell’organizzazione dei salvataggi in mare e siamo limitati dalla tecnologia".

I droni hanno i loro limiti.

"Ne sono al corrente, solitamente questi dispositivi volano fino a metà della batteria. Noi però diamo priorità alle vite: se per lanciare un giubbotto di salvataggio, il nostro drone deve consumare tutta la sua carica e poi finire in mare, penso sia uno scambio equo. Niente vale come la vita umana".

Quali obiettivi vi proponete?

"Il mio, a livello personale, è renderli una dotazione obbligatoria per navi sopra i 25 metri. Inoltre vorrei sviluppare il progetto nel mio Paese. Per Human Drone Team c’è interesse in molti Stati esteri, ma non sono pervenute le istituzioni italiane".

Inoltre, secondo il ricercatore del Sant’Anna Stefano Roccella, posso esserci implicazioni importanti anche a terra. "Questi dispositivi, anche se automatizzati, avranno sempre bisogno di una persona che li supervisioni, in caso di necessità, per prenderne i comandi o altro – spiega il tecnico –; l’utilizzo del nostro drone potrebbe portare alla nascita di un ‘bagnino tecnologico’, figure che la HumanDroneTeam sta già pensando di formare in collaborazione con la Capitaneria".

Mario Ferrari