
Buone notizie per uno dei dieci indagati nella maxi inchiesta sui funerali “pilotati“. Si tratta di una dipendente dell’Asl, di 51 anni, alla quale è stata revocata la misura cautelare ordinata dal gip del Tribunale di Lucca, che aveva disposto la sospensione della donna per sei mesi dall’esercizio di qualsiasi servizio o funzione pubblica. La vicenda è legata a un caso giudiziario partito nel 2020 con l’esposto in Procura che ha acceso i fari su un presunto sistema di corruzione e di abusi d’ufficio tra personale ospedaliero, medici e agenzie funebri. Secondo l’accusa, i medici avrebbero sfruttato la propria posizione per indirizzare i familiari dei defunti ad aziende funebri ben precise per l’organizzazione dei funerali. Con quest’ultime, a loro volta, accusate di aver tentato di corrompere i medici con regali quali bottiglie di vino e soldi. Per un totale, come detto, di dieci indagati: due medici, due necrofore, un’infermiera ancora in attività all’ospedale “Versilia“, un infermiere in pensione, due sue collaboratrici e due responsabili di altrettante onoranze funebri.
Ma una delle due necrofore sospese, la 51enne appunto, attraverso gli avvocati Fabrizio Miracolo e Roberto Cappa ha fatto valere le proprie ragioni e il suo ricorso contro l’ordinanza del gip è stato accolto dal Tribunale distrettuale del riesame di Firenze, con il dispositivo dell’ordinanza depositato due giorni fa. Sono due le argomentazioni alla base della richiesta di revoca delle misure interdittive: la prima riguarda "l’insussistenza della gravità indiziaria derivante dall’inutilizzabilità delle intercettazione telefoniche", l’altra invece "l’assenza di esigenze cautelari attuali in relazione al tempo trascorso dalla commissione dei fatti e dalla personalità dell’indagata emerso dal comportamento tenuto successivamente ai fatti".
In sostanza, secondo Miracolo e Cappa nell’ordinanza con cui il 24 marzo il gip Trinci ha disposto la sospensione della donna mancavano le condizioni di applicabilità dell’articolo 273 del codice penale. Significa che l’ipotesi reato a lei contestata non prevede la misura cautelare disposta dal gip. Per quanto riguarda le intercettazioni, in particolare, queste non potevano essere utilizzate quando è caduta l’accusa di corruzione per un solo episodio. "L’indagine era stata autorizzata per un’ipotesi di corruzione – spiegano i due avvocati difensori – ma i risultati delle intercettazioni hanno escluso l’ipotesi formulata e così il pm ha ripiegato per la qualificazione di abuso d’ufficio". I legali, infine, ritengono che non ci sia alcun rischio che la donna possa rendersi responsabile di ulteriori condotte illecite alla luce della professionalità dimostrata sul lavoro.