Torre del Lago, 4 aprile 2020 - È durata quaranta giorni la quarantena forzata di Roberto Perruccio, il 44enne di Torre del Lago che per primo in tutta la Versilia è risultato positivo al Covid 19. Il “Paziente Zero” da ieri è finalmente guarito dal terribile virus. Il suo stato d’animo adesso è un misto di felicità, per ciò che si è lasciato alle spalle, ma anche di rabbia: "Perché i positivi al Covid-19, che non vengono ospedalizzati – spiega – lasciano le proprie vite nelle mani della fortuna".
La terribile esperienza di Roberto ha inizio il 22 febbraio scorso, a seguito di un tour lavorativo fra Milano, Torino e Rimini, quando (due giorni dopo il primo caso di Codogno) si palesano i primi sintomi. "Avevo la febbre a 38 e così chiamai il 118. Mi risposero di star sereno e che, non essendo stato in Cina, non era il caso di fare il tampone".
Roberto tranquillizzato passò così il weekend con il proprio bambino di dieci anni senza immaginare che il virus era entrato in lui. "Nella serata di lunedì 24 – va avanti nel racconto – fui colto da un senso di vertigine accompagnato da gambe molli, emicrania e perdita di gusto. Con la febbre salita a 39,5 decisi di richiamare il 118, dichiarando anche che l’azienda per la quale lavoro ha dei magazzini a Vo’ Euganeo (dove c’è stata la prima vittima italiana per Covid). Aggiunsi anche, cosa non vera, che ero stato recentemente a Vo’, riuscendo a far sì che il mio caso venisse considerato con la massima urgenza. Grazie a questa bugia mi prendono in considerazione. Viene attivata la procedura per il tampone e mi viene detto di richiamare solo in caso di grave crisi respiratoria. perché il protocollo impone di attendere i risultati del test prima di prendere qualsiasi decisione".
Il 26 febbraio arrivano finalmente i sanitari per il tampone. Roberto è soprattutto spaesato: "I sintomi galoppavano, soprattutto una tosse che mi mandava in apnea, e la sera stessa arrivò la sentenza di positività. Preoccupato pensai al mio bambino, che aveva passato il weekend con me, così avvertii la mia ex compagna, con la quale il piccolo era in quel momento, la scuola, i miei genitori, gli amici ed i colleghi. Una domanda mi si ripeteva continuamente in testa: E adesso? Cosa vuol dire essere positivo? Mi si ripeteva di chiamare il 118 solo in caso di crisi respiratoria, ma come potevo fare se ero completamente da solo? Cominciai scoprendo anche che stare a pancia in giù dava sollievo. Vero ma nessuno a me l’aveva suggerito".
La clessidra scorre e si arriva al primo marzo quando la febbre è sparita e con essa i dolori e le allucinazioni. Rimane solo un po’ di tosse. "Aver fatto una doccia ed aver mangiato di gusto un biscotto fu un’emozione stupenda", dice. Ma le cattive notizie non erano finite. Il 2 marzo la comunicazione della positività del piccolo. "Caddi nello sconforto più totale – ricorda –. Mi sentivo responsabile". Il 12 marzo è il giorno del nuovo tampone ma le speranze crollano di fronte all’esito: positivo. "Non ci potevo credere - racconta ancora - ero distrutto perché non sapevo darmene ragione e sopratutto non ricevevo comunicazione alcuna da chi mi doveva assistere". Dopo altri dieci giorni di attesa, Roberto richiama il Dipartimento di Igiene per fissare un nuovo appuntamento per il tampone. È il 27 marzo per il nuovo test e ieri l’agognata risposta: tampone negativo. «Finalmente , con otto chili di meno, torno a vivere. Una volta risolti alcuni problemi burocratici, potrò tornare ad abbracciare i miei cari e sopratutto mio figlio. Ma quello che ho passato non è una semplice influenza. È qualcosa di più atroce, qualcosa che è veramente capace di farti del male. Fino a conseguenze estreme. Mi sento fortunato, ma rimane l’amaro in bocca per aver dovuto mentire per attirare l’attenzione di un sistema distratto e impreparato". Sergio Iacopetti © RIPRODUZIONE RISERVATA