Cristina Petrucci, custode del mare: "Pescare, un mestiere al femminile"

Da tre anni lavora nella marineria: "Ho scoperto un mondo faticoso ma affascinante e bellissimo"

di Gaia Parrini

È nata e cresciuta in via Guerrazzi, in una delle stradine storiche della città, Cristina Petrucci, che, in Darsena, ancora vive, alla vista, caratterizzata, la sua, dalla curiosità e dalla continua scoperta, del mare e delle barche. Quelle barche, e quel mare, su cui lei vede il suo futuro, e se stessa, e su cui, ormai da tre anni, con il peschereccio indipendente Motopesca Ariete, lavora come pescatrice.

Cristina, nella storia quello della pesca è un lavoro solitamente svolto dagli uomini, e anche nella marineria viareggina siete solo due donne imbarcate su un peschereccio. Lei, com’è che ha cominciato?

"Dopo il Covid ero rimasta senza lavoro e passando dalla passerella, dove le barche ormeggiano, mettono i banchi e vendono direttamente il pesce, ho chiesto ad un amico, che aveva un piccolo peschereccio, di portarmi a pescare. Ma lui, invece, mi disse di andare, il giorno seguente, a vendere il pesce. Ho cominciato così, ed ero anche brava, perché dopo 25 anni di lavoro come commessa in un negozio di abbigliamento, ero capace di stare e rapportarmi al pubblico".

E poi?

"Poi ho voluto imbarcarmi, e pescare. Vendere e basta era una cosa che mi stava stretta, perché le donne nella pesca sono spesso relegate solo alla vendita. Così ho fatto i corsi da motorista, gli esami teorici e pratici con la Capitaneria, divenendo conduttore. E ora posso condurre il peschereccio, nel nostro caso di circa 9 metri".

E cos’è che l’ha spinta a salire sul peschereccio?

"La curiosità. Non mi bastava venderlo ma volevo sapere come arrivava in quelle cassette, come funzionava quell’universo. E ho scoperto un mondo, affascinante, bellissimo e variabile. Anche faticoso, ma è talmente bello, che ne vale la pena".

Qual è la cosa che ama di più del suo lavoro?

"Stare all’aperto. Cosa di cui, dopo il Covid, avevo un grande bisogno e che, per questo, essere senza occupazione dopo la pandemia è stato, ironicamente, provvidenziale, perché mi ha cambiato e stravolto la vita in positivo. Ma anche il silenzio e lo stare in mare, perché quando tramonta il sole, la luna, e vedi le Apuane, è una cosa stupenda. E mi piace il fatto che ci sia una grande variabilità nel lavoro in barca, che non è mai uguale, dalla pesca con i palamiti e le nasse, alle reti per i pesci diversi. È tutto un mondo da scoprire".

Anche sulle tipologie di pesci?

"Sì, prima, chiaramente, non conoscevo tutte le tipologie del nostro mare, ma poi piano piano ho imparato. E ho imparato anche a pulirli, sfilettarli, e ad insegnare a cucinarli alle persone. Ecco, un’altra cosa che mi piace moltissimo è pescare il pesce, pulirlo, e cucinarmelo. Così imparo anche l’arte culinaria".

In altre zone si parla di moria dei pesci, la situazione del mare di Viareggio com’è?

"Il nostro è un mare florido e sano e c’è tantissimo pesce, anche se siamo tante barche. La nostra è una pesca stagionale, a retine, mirata, piuttosto sostenibile".

Come ha affrontato il fatto di lavorare in un ambiente prettamente maschile?

"Con spirito, sempre con il sorriso sulle labbra. Ho sempre fatto di tutto per dimostrare che non mi mancava niente e che non ho avuto sconti da nessuno. Non ho mai perso un giorno di lavoro perché mi facevano male le mani, o la schiena. Poi ho un carattere molto aperto, e alla fine sono stata accettata. Ma ho strinto i denti, anche se spesso devi dimostrare qualcosa in più rispetto agli uomini".

Il numero di donne che pescano e lavorano sui pescherecci è ancora basso. Secondo lei per scelta o perché è una conseguenza di un pregiudizio perpetuato dalla società?

"Storicamente le donne stavano a casa, aiutavano i mariti nella rivendita. I vecchi pescatori dicono che la donna a bordo non porti bene, e questo fino ai giorni nostri. E allora mi sono detta “dimostrerò che non è vero“. È pesante e faticoso, ma si può fare, se lo si vuole. E io, ne sono la dimostrazione".