
Dal cane "Salù" al gorilla "Mario" Quante storie dietro ai mascheroni
di Martina Del Chicca
Immaginare che questo foglio e che queste parole non si perderanno. Immaginarle appiccicate ad altre parole, ad altri fogli, per dare forma ai mascheroni, fa sentire anche noi parte integrante, collante, di questa storia lunga 150 anni. Ci sono le pagine di giornale, un pezzettino di noi e delle storie quotidiane di Viareggio, dietro lo strato di colore che rifinisce le costruzioni. Ma dietro ad ogni costruzione, affondando come Dostoevskij nel sottosuolo, si svela un mondo di ricordi, di storie, di omaggi. C’è vita, uno spaccato di vita, sui carri del Carnevale.
Il gorilla di “Evoluzione della specie“ della famiglia Cinquini - Cirri, ad esempio, si chiama Mario. Mario proprio come il padre di Umberto e Stefano Cinquini, che ha trascorso la vita negli hangar del Carnevale. È stato l’ultimo carpentiere in legno, l’ultimo erede della tradizione dei maestri d’ascia e dei calafati prestati alla festa, e proprio quest’anno avrebbe compiuto cent’anni. Su una cosa sola Mario si raccomandava ai suoi figli, quando da ragazzi perdevano le ore nei baracconi: "Da grandi potete fare quello che volete; ma, mi raccomando, non i carristi". Consapevole dei saliscendi di un mestiere senza eguali. Ed eccoli lì i suoi figli, Umberto e Stefano; che hanno trasgredito l’unica regola, lanciandosi nel Carnevale per inseguire perennemente la felicità. Con i suoi saliscendi.
E dedicato al padre è anche l’omaggio che Fabrizio Galli ha fatto in “Pianeta Terra 2.0“, riportando sui Viali a Mare, cinquant’anni dopo, il Burlamacco che suo padre realizzò in “Ricordati di Viareggio“ per il Centenario del 1973. Renato Galli cominciò a lavorare da ragazzino come carrozziere e tornitore, mestiere che ha poi riportato nel Carnevale con tecniche e materiali. Fu proprio Renato, ad esempio, ad introdurre lo stucco per allisciare i mascheroni. "Dei carri di mio padre – ha raccontato Fabrizio – ho sempre ammirato la semplicità, e quella naturale capacità di trasmettere allegria e serenità. Ed è per questo che ho voluto portarlo con me, in questo anniversario, ispirandomi ad una delle sue opere più belle".
Nel viso del pagliaccio che si specchia, mostrando l’altro lato del sorriso, è impossibile non ritrovare il profilo dei Lebigre. Quello, indimenticabile, di Gilbert, e quello del più piccolo dei suoi tre figli, Benjamin. "Tutti - racconta Benjamin – mi dicono di questa somiglianza. Io, onestamente, non so se è stata cercata. Ma a modellare il volto di “Ridi Pagliaccio“ è stata mia madre Corinne, e credo che lo abbia fatto con tutto l’amore del mondo". E poi c’è Salù; quel cagnolone che muove le orecchie, si scrolla, e segue il tempo della fisarmonica tre le gambe del cantastorie di “Una storia fantastica“. Ma perché proprio Salù? Anche qui c’è una storia da svelare. "Il suo nome viene da “Saluta il cane“ – racconta Jacopo Allegrucci –. E’ il modo con cui ci salutiamo nell’hangar ormai da anni. Da quando ero in seconda categoria e condividevo il baraccone con Luciano Tomei. Credo che tutto sia partito ad un suo collaboratore, Aurelio Martinelli. E così, da quel “Saluta il cane“ a fine giornata, è arrivato il cane Salù".
Il Carnevale è anche questo, sono fogli di giornale che si mescolano ad un pensiero. E la storia di una città che si mescola alle storie di tante famiglie. Un groviglio di emozioni, attorcigliate alle corde che muovono i mascheroni.