Viareggio, 1 febbraio 2024 – Era l’immediata vigilia del Carnevale 1969 che, come quello di quest’anno, iniziava nel primo week end di febbraio. Era il 31 gennaio, un venerdì di 55 anni fa che cambiò l’Italia, un nome e un cognome che raccontano una vicenda che segnò un’epoca e sconvolse tutti.
Ermanno Lavorini oggi sarebbe un signore di quasi sessantotto anni. Quell’ultimo giorno di gennaio si avviava verso i tredici. Era poco più che un bambino, timido ed esile, con i sogni di un adolescente che non vedeva l’ora iniziasse il Carnevale in una Viareggio che si era già vestita a festa.
Il corso mascherato Ermanno non lo vide mai. Sequestrato, picchiato, ucciso. Era il primo kidnapping italiano, il rapimento di un bimbo che fece inorridire tutta Italia e non solo. La richiesta di riscatto era di 15 milioni di lire, come riferito in una telefonata che arrivò lo stesso pomeriggio del sequestro a casa di Armando Lavorini, conosciutissimo commerciante di tessuti nella zona del mercato. Al telefono risponde la sorella maggiore Marinella che resta impietrita e poi urla disperata. Ma Ermanno è già morto, tre ore dopo il sequestro avvenuto fuori di una sala giochi vicino al vecchio commissariato. Lì, davanti al municipio, trovarono la sua bicicletta.
Orrore, scandalo, depistaggi, polemiche. Successe di tutto in quei 39 giorni, dal giorno della sparizione al ritrovamento del cadavere la mattina del 9 marzo nella sabbia della pineta a 150 metri dal mare di Marina di Vecchiano, in territorio di Pisa. Fu anche un tragico happening: dall’Olanda piombò a Viareggio un sensitivo che raccontò di ‘aver visto’ Ermanno morto annegato. Ma ci furono anche tragedie nella tragedia. Come quella di Adolfo Meciani, quarantenne benestante, che venne coinvolto nella tragica vicenda. Rischiò il linciaggio pubblico e si impiccò in carcere, sconvolto dalla vergogna per accuse infamanti quanto ingiuste. Pochi mesi fa il figlio Alessandro, assessore in carica, ricordò questa tragedia nella tragedia.
Avevano coinvolto il padre e molti altri. Anche Giuseppe Zacconi, figlio del grande attore Ermete, che morì di crepacuore qualche mese dopo. Ma chi era stato a prendere e uccidere Ermanno? Quel rapimento per molti versi maldestro secondo i gradi di giudizio aveva come ideatori ed esecutori Marco Baldisseri, 16 anni ma già una vita vissuta tra mille espedienti, Rodolfo Della Latta, ventenne di professione becchino, Pietro Vangioni anch’egli ventenne. Frequentavano il Fronte Monarchico Giovanile che aveva una sede in periferia, in via della Gronda, anche se di politica capivano ben poco. Ma due di loro frequentavano anche la pineta, luogo di incontri per omosessuali.
Vennero inviati a Viareggio i migliori investigatori a livello nazionale. Prima cercarono il maniaco e poi batterono l’altra pista. Quella dei pederasti, come si diceva allora. Arrivò in città anche il principe Junio Valerio Borghese, protagonista un anno e mezzo dopo del fallito colpo di Stato, che lanciò durissime accuse alla sinistra. Ma il movente politico serviva soprattutto per attenuare le responsabilità dei singoli, strategìa scelta anche in altri casi. Tra confessioni, ritrattazioni, racconti di festini e ‘balletti verdi’, false piste e colpi di scena, il caso Lavorini fece parlare tutta l’Italia. I ragazzi coinvolti si scaricarono le colpe fra di loro e azionarono la macchina del fango contro tutti.
Il cambiamento delle versioni caratterizzò anche i passaggi giudiziari: il primo grado finì con la condanna a 19 anni di Baldisseri, 15 anni e 4 mesi per Della Latta mentre Vangioni fu assolto per insufficienza di prove. Sentenza modificata in Appello dove si certificò la tesi del movente omosessuale, e in Cassazione dove invece si legò il delitto all’eversione di destra, scrivendo che "è maturato nel quadro di un programma pseudopolitico". Con la condanna del terzetto per rapimento a scopo di estorsione e omicidio preterintenzionale.
Per i giudici gli imputati picchiarono Ermanno ma non lo volevano uccidere. Baldisseri prese 8 anni e 6 mesi per aver colpito la giovanissima vittima, Della Latta 11 anni per averlo seppellito, soffocandolo definitivamente, e a Vangioni vennero inflitti 9 anni. Questa la verità processuale stabilita definitivamente nel 1977. Ma andò veramente così? I dubbi restano tanti. Quel che è certo è che i tre condannati sono state pedine di un gioco più grande di loro, protagonisti di un dramma che aprì una pagina nuova e nera per l’Italia. Fu la fine degli spensierati anni Sessanta che avevano avuto nella Versilia una capitale internazionale del divertimento e coi ncise con l’inizio della stagione buia degli attentati. Quella sì era la strategìa della tensione.
Il caso Lavorini riportò i riflettori dei media e l’attenzione dell’opinione pubblica sulla Versilia dopo quello che era successo esattamente un mese prima alle Focette. Con la contestazione del ‘Capodanno dei padroni’ alla Bussola di Sergio Bernardini. L’Italia era cambiata, molti non riuscivano a capirlo. Ma se ne accorsero poco dopo. Finì per sempre kil mito degli "Italiani brava gente".