Doccia gelata sui bagni La Corte europea: "Le concessioni non sono automatiche"

I giudici confermano la necessità delle aste, ma aprono alle mappature. Rimandata agli Stati la possibilità di stabilire il principio di ”scarsità“. La battaglia degli stabilimenti versiliesi è di "ottenere un parametro".

Doccia gelata sui bagni  La Corte europea:  "Le concessioni  non sono automatiche"

Doccia gelata sui bagni La Corte europea: "Le concessioni non sono automatiche"

Daniele

Mannocchi

Doccia fredda per i 439 stabilimenti balneari versiliesi. La Corte Europea di Giustizia ha confermato che le concessioni demaniali per le spiagge non possono essere rinnovate in automatico, ma devono essere messe a gara periodicamente con una procedura di selezione imparziale e trasparente. I giudici europei si sono pronunciati sul caso sollevato dal Tar della Puglia che ha per protagonisti il comune di Ginosa e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcom): nel 2018, le concessioni per le spiagge su cui insistono gli stabilimenti balneari erano state prorogata al 2033, e due anni dopo il comune di Ginosa aveva dato seguito alla disposizione concedendo la proroga sulle proprie spiagge. A quel punto, era intervenuta l’Agcom, presentando un ricorso al Tar con cui si chiedeva l’annullamento della decisione. A sua volta, il Tar pugliese si era rivolto alla Corte di Giustizia del Lussemburgo.

E ieri i giudici hanno emesso il loro verdetto. Che non è in toto sfavorevole ai balneari. Nella sentenza, la Corte ha precisato che le autorità locali sono tenute ad applicare le norme dell’Unione Europea, ma soprattutto ha rimesso al governo italiano la determinazione di "condizioni oggettive" per determinare la "scarsità della risorsa": in base all’articolo 12 della Bolkestein, infatti, la direttiva non si applica laddove non sussista la scarsità della risorsa da sfruttare, in questo caso la spiaggia.

"La sentenza ha confermato il tema principale, ossia quello della mappatura – commenta il presidente dei balneari di Lido di Camaiore Marco Daddio – e ha detto anche che le leggi le deve fare la politica e non il Consiglio di Stato, e questo è abbastanza importante. Non è un verdetto completamente negativo: adesso tutto è il mano al governo italiano che deve decidere quello che vuol fare da grande. Noi continuiamo ad avere fiducia nell’operato dell’esecutivo di Giorgia Meloni, sperando che vada avanti mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale. Si entra nel vivo – conclude Daddio – non solo della stagione balneare, ma di questa vicenda annosa. Credo che la Corte Europea abbia messo sul tavolo delle certezza e che ci siano i principi per poter lavorare bene. Ora tutto sta alla volontà politica".

La chiave, come detto, sta nell’articolo 12 della direttiva Bolkestein. Per andare in Europa con dei numeri certi, però, l’Italia deve portare a termina la mappatura delle coste (non solo marittime, ma pure lacustri e fluviali): un’impresa che deve andare in porto entro il 28 luglio. Ci sono tre mesi a spanne. Anche in questo caso, la sentenza di ieri ha dato delle indicazioni. L’articolo 12 della conferisce agli Stati un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali, purché si tratti di parametri "obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati". L’articolo, dunque, "deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, a un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del Comune in questione".

Immediata la reazione della politica. Anche la Regione – particolarmente interessata, visto che solo in Toscana ci sono circa 900 imprese balneari – sprona il governo all’azione. "La sentenza della Corte Europea – la posizione dell’assessore Leonardo Marras – non aggiunge nulla a ciò che era già chiaro per la gestione delle spiagge italiane. Anzi, conferma soltanto che l’attuale governo ha perso tempo prezioso per garantire da una parte i principi di pubblicità e di partecipazione e, dall’altra, la tutela delle imprese italiane e del valore reale restituito dal loro lavoro a quelle strutture".