C’è l’anziana ospite, con le mani assediate dall’artrite, che stringe forte la spazzola per passarla sul pelo del cane. Oppure il vecchino, immobile e allettato, con l’espressione corrucciata che si schiude in un sorriso appena vede il palchetto sul quale un golden retriever biondo è pronto a saltare per farsi accarezzare. È il mondo – magari non magico, ma quasi – della pet therapy, che sta mettendo radici anche all’Rsa Tabarracci: protagonista è l’associazione BarryDog di Fosdinovo, le cui volontarie, tutte educatrici cinofile, ogni due settimane portano i propri cani nella struttura per farli socializzare con gli anziani ospiti. Un’esperienza unica dal punto di vista emotivo, e che oltre tutto apre degli spiragli di miglioramento per i pazienti. Ne parliamo con l’educatrice di BarryDog Valeria Pellistri.
Pellistri, la vostra è un’esperienza particolare. "Assolutamente. Già regalare un sorriso a chi ha perso le facoltà fisico-cognitive è un’emozione. Ma si ottengono anche dei risultati tangibili".
In che senso? "I cani riescono a risvegliare nei pazienti delle sensazioni fisiche ed emotive. Per questo, dal 2016 la pet therapy è riconosciuta dal Ministero della Salute che ha predisposto delle linee guida per una regolamentazione professionale".
È difficile prepararsi? "Ci sono corsi e percorsi da seguire, sia per i volontari che per i cani. Gli animali devono avere una predisposizione propria e devono seguire un iter per abituarsi a stare in presenza di persone con disabilità: certi odori, la presenza di tante persone, macchinari e sedie a rotelle possono impaurire i cani ed essere una fonte di stress".
Come funziona la pet therapy? "Si fonda sulla relazione tra il cane e il paziente, che noi cerchiamo di favorire ma senza imporre niente all’animale. Fa tutto di sua sponte, dall’andare a salutare i pazienti al farsi accarezzare. Dal canto nostro, possiamo interagire con alcuni giochi che hanno funzione d’intrattenimento, lavorando di concerto con medici e infermieri in una logica multidisciplinare. Non è un gioco e per i cani è un lavoro, tant’è che li teniamo al massimo per 20 minuti, in modo da non sovraccaricarli dal punto di vista emotivo".
Che tipo di cani avete? Ci sono delle razze più predisposte? "Usiamo dei Golden Retriever, una razza selezionata per essere socievole. Ma attenzione: ogni cane ha una sua individualità, non bisogna pensare che a una determinata razza corrisponda un carattere predefinito. Io ho cinque Golden, tre dei quali della stessa famiglia, e non tutti sono predisposti per le medesime attività. Ho anche una cucciola di un anno, e quando mi chiedono se sarà un cane da lavoro, l’unica cosa che posso rispondere è: vedremo. Il benessere del cane è importante come quello delle persone".
Al Tabarracci ci sono stati episodi in cui gli ospiti sono riusciti a superare un’iniziale diffidenza verso i cani. Anche queste sono soddisfazioni. "Sì. In passato abbiamo lavorato con un signore allettato che aveva problemi cognitivi. Il cane non lo voleva assolutamente. Alla fine l’ha accettato, gli abbiamo portato la mia Abby, che all’epoca aveva 9 anni, pacifica e brava a lavorare con persone statiche. Per alzarla al livello del signore allettato si usava un palchetto. Bene: dalla seconda volta in poi, bastava che l’anziano vedesse il palchetto per iniziare a sorridere. Oppure, sempre tra le soddisfazioni, ricordo una signora con l’artrosi che non voleva fare la fisioterapia. Però, quando c’erano i cani, era la prima a prendere la spazzola per curarli. Anche questo è un fattore: il cane non dà giudizi, e il non sentirsi giudicati dà una motivazione importante ai pazienti delle strutture".
Quando tempo s’impiega ad abituare un cane? "Intanto bisogna capire se un cane è predisposto. Il cucciolo deve fare la vita da cucciolo; poi, se è equilibrato, quando avrà alle spalle un anno di esperienze ’proprie’, si potrà valutare se ci siano le competenze per essere anche un cane da lavoro. Si procede per piccoli step e per la completa maturità psicofisica dei cani servono almeno un altro paio d’anni. E comunque bisogna tener conto delle individualità: il mio maschio, Bimbo, pesa 35 chili ed è bravissimo con bimbi e anziani, meno con gli allettati; sua madre Abby e la sorella Evelyn sono meno esuberanti e lavorano anche con persone immobilizzate".
E per voi educatori cosa comportano queste attività? "Come i cani, anche noi ci portamo a casa un bagaglio emotivo importante. Lavoriamo in strutture dove capita che da una settimana all’altra i pazienti non ci siano più. Per questo anche noi dobbiamo seguire dei corsi ad hoc".