Intuitivo, il fiuto del segugio di razza, buon psicologo: la faccia buona del carabiniere-padre di famiglia che con una ramanzina, senza andare drasticamente contro il codice, risolveva quelle bagatelle che spesso sono l’humus dove prosperano dissapori pronti ad esplodere. Un sottufficiale dell’Arma che in tv assomigliava al primo maresciallo del tubo catodico, Gigi Arnaudi (Turi Ferro) creato dalla fantasia di Mario Soldati, piuttosto che a Giovanni Rocca (Gigi Proietti) e Nino Cecchini (Nino Frassica). Un investigatore che non mancava mai nei grandi casi ma non tralasciava quelli piccoli, portando in dote quel patrimonio di conoscenza del territorio e dei contatti con la gente comune, che potevano fare la differenza. Un maresciallo “nei secoli fedele” all’Arma che ancora oggi - eppure sono passati 37 anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel marzo 1986 - viene ricordato con grande affetto. Si chiamava Francesco Corbo, era originario di Maddaloni, in Campania: dalla seconda metà degli anni ‘60 fino al giorno della sua morte era stato comandante della squadra di polizia giudiziaria dei carabinieri. La sua seconda casa era la caserma all’incrocio tra via Foscolo e via Mazzini. "Un uomo leale, rispettoso della Magistratura, una grande conoscenza della legge, autorevole e con una grande attenzione al sociale": chi ha lavorato con lui lo tratteggia così a distanza di anni. Se poi pensate che ai suoi funerali, fra la gente che aveva riempito la chiesa, c’erano anche persone contro le quali aveva dovuto procedere, vuol dire che qualcosa di buono il maresciallo Francesco Corbo aveva fatto in vita, oltre che servire la legge e di riflesso lo Stato e i cittadini. "Un ‘sbirro’ leale": era l’etichetta che i borderline avevano coniato per Corbo, nello sbirro c’era la forza della legge e del diritto, nel leale il rispetto per l’uomo che quando si trovava davanti ad un malvivente, cercava argutamente di penetrare nella sua mente per capire che cosa lo aveva spinto a compiere il reato. Aneddoti? Un’infinità. Raramente, il maresciallo Corbo si muoveva armato. Alla pistola preferiva la penna per dettagliare minuziosamente i suoi risultati investigativi. Sapeva lavorare in gruppo, coinvolgendo spesso nelle indagini anche gli uomini del nucleo operativo. Morì, per un infarto, in un periodo in cui era molto amareggiato perché non era riuscito ancora a trovare il bandolo della matassa di un feroce delitto che mesi prima aveva insanguinato la Versilia.
CronacaFrancesco Corbo "Uno sbirro leale"