Viareggio, 28 maggio 2017 - «Mi sono fatto male a scuola». Quella frase lasciata cadere così, anche un po’ ingenuamente, mentre Emanuela era a lavoro. Ha cresciuto tre figli da sola, li guarda ogni giorno diventare grandi con la giusta distanza; ma presente, con estrema premura ed attenzione. Ha capito subito che il più piccolo dei suoi ragazzi non era inciampato correndo, che non aveva sbattuto accidentalmente la mano. E tornando a casa, in un momento di tranquillità prima della cena, si è fatta raccontare di quella ferita. Aperta sul dorso della mano, che si stava infettando.
«Mi ha spiegato che se l’era procurata durante un “gioco”». Ha voluto capire di più, saperne di più. Un gioco di velocità e resistenza al dolore, fatto in classe in un momento di pausa dalle lezioni con i suoi compagni. «In sintesi il gioco, chiamiamolo così, consiste nel riuscire ad abbinare una parola ad ogni lettera dell’alfabeto nel più breve tempo possibile. Mentre un compagno – spiega – con l’unghia inizia a grattare insistentemente sul dorso della mano». Fino a quando, inevitabilmente, si apre una ferita. Quella del dodicenne si è infettata; e ad oggi, che sono passati quattro giorni dall’episodio, non è ancora guarita. Nonostante gli antibiotici, e le amorevoli cure di mamma. Ma, con pazienza, guarirà.
Ciò che ha preoccupato Emanuela, che ha deciso di affrontare di petto il problema, è che il suo piccolo non è stato l’unico a tornare da scuola con quelle ferite. E che in classe, nel gruppo, l’accettazione possa passare dal grado di tolleranza al dolore fisico. «Ho raccontato l’episodio sulla chat dei genitori – prosegue Emanuela – per avvertirli, per consigliargli di fare attenzione». E’ stato subito chiaro che questa sfida aveva preso piede nella scuola media di Massarosa, una bambina addirittura è tornata a casa con entrambi i dorsi delle mani scarnificati. «A quel punto ho pensato che la cosa migliore fosse parlarne con la presidente e i docenti».
Che hanno raccolto le preoccupazioni di Emanuela: «Ho grande fiducia nella scuola, nelle insegnanti che hanno accompagnato i miei primi due figli nel salto alle superiori». E di fronte alle piccole o grandi ombre con cui ogni adolescente vive e si confronta, lei ha voluto accendere una luce. «I nostri figli attraversano un momento delicato, delicato è il rapporto con la tecnologia e i social così come col mondo reale. Io non so se questo episodio possa essere un campanello d’allarme. Ma credo che niente debba essere sottovalutato, e che nessuno gioco debba includere il dolore volontario nelle sue regole. Né infliggerlo, né subirlo, e neppure stare a guardare». Emanuela non è una mamma apprensiva, ha sempre lasciato i suoi ragazzi liberi di correre. Di sporcarsi, di inseguirsi in bicicletta. «Non mi sono mai preoccupata per un ginocchio sbucciato. E’ stato una regola della mia infanzia, lo è per quella dei miei figli. Ma questo, no. Spingersi oltre, fino a ad arrivare al sangue no. Questo non è un gioco».