Il cammino di Elena Martinelli. La passione per il corpo umano e l’eredità di Alfredo Catarsini

È presidente della Fondazione intitolata al nonno e docente di attività motorie a Firenze "L’insegnamento più importante avuto è quello dell’onestà intellettuale, nel lavoro e nella vita".

Il cammino di Elena Martinelli. La passione per il corpo umano e l’eredità di Alfredo Catarsini

È presidente della Fondazione intitolata al nonno e docente di attività motorie a Firenze "L’insegnamento più importante avuto è quello dell’onestà intellettuale, nel lavoro e nella vita".

di Gaia Parrini

Essere eticamente, e creativamente utile, è lo scopo del suo lavoro, e della sua vita, così come, etica, è stata l’arte di suo nonno, Alfredo Catarsini, di cui lei, Elena Anna Rita Martinelli, docente all’Università di Firenze, è presidente della Fondazione che ne prende il nome.

Signora Martinelli, si può dire che lei è una viareggina dalla mentalità milanese?

"Io sono nata in via Dandolo, proprio dove Alfredo Catarsini ha vissuto, anche se lui era nato in piazzetta Ragghianti, quindi era un uomo della Darsena, ma che ha sempre voluto stare al Marco Polo. Ho passato però un terzo della mia vita a Milano, dove ho studiato e ho iniziato la mia carriera. Milano mi ha calzato come la scarpina di Cenerentola. Dopo 25 anni, però, sono tornata a Viareggio, per la qualità della vita. Tanto, il lavoro, me lo son portato dietro".

Lei è docente all’Università di Firenze, nel corso di Scienze Motorie. Di cosa si è occupata, durante la sua carriera?

"Mi sono sempre occupata di postura e colonna vertebrale, che è la mia passione, in particolare l’aspetto biomeccanico e la macchina del corpo dal punto di vista della motricità. E su questo aspetto ho sviluppato tante belle cose: dagli anni ’80 ho messo a punto una metodica, C.A.M.O., centro attività motorie, sullo studio del movimento adattato alla necessità della persona, come l’attività fisica di genere, il secondo corso pilota in Italia di attività motorie per la terza età e i corsi per gli addetti ai musei, in parte bendati e in parte no, per migliorare la restituzione ai non vedenti".

Voleva fare questo da bambina?

"Volevo fare l’ingegnere meccanico. Ho fatto due anni di Ingegneria meccanica a Pisa, poi mi sono trasferita al Politecnico di Milano: sono finita là nel ’74, nel periodo delle Brigate Rosse, e ho fatto tutto quell’anno con la paura di bombe".

C’è una creatività di famiglia, ma nel suo caso declinata diversamente.

"Sì, probabilmente un po’ di geni mi sono stati trasmessi, da Catarsini, come dal nonno Martinelli, violoncellista. Sono un po’ un’artista ma non con la testa tra le nuvole, ma che studia, applica, produce. La creatività per me è questo: pensare e entrare a fondo nelle cose. Io sono contenta quando mi vengono le idee, e mi vengono sempre la mattina appena sveglia".

Queste idee, come le ha applicate al lavoro della Fondazione?

"Una di queste è applicata al Cammino I luoghi di Catarsini, mostra diffusa su dieci sedi espositive ma che ti racconta un secolo e un paesaggio vario e importante, così come l’attività di Catarsini, che ha attraversato tutto il ’900. Abbiamo inventato laboratori esperienziali accessibile ai ciechi, con l’adattamento di testi descrittivi e l’esplorazione tattile della materia. È stato dettato da quello per cui ho fatto il lavoro della mia vita: voglio che un lavoro abbia uno scopo, sia utile, ed etico".

Alfredo Catarsini, come nonno, com’era?

"Meraviglioso. All’atelier c’è una sua frase “Chi entra mi onora, chi non entra mi fa un piacere“, e lui era così: un uomo che non ha mai voluto perdere tempo, ma era anche generosissimo con i suoi giovani colleghi. Ha sempre visto le cose sempre in prospettiva. Stava a Viareggio come al centro di una rosa dei venti, era un uomo colto, intellettuale, attento a tutto e a tutti".

La sua prossima invenzione?

"Non so cos’altro inventerò, ma sicuramente qualcosa. E sempre con onestà intellettuale, come Catarsini, che prima di firmare un quadro diceva “devo pensarci bene perché porterà il mio nome“. Ed è, questa, una formazione mentale di educazione familiare".

È anche questa, l’eredità che le ha lasciato suo nonno?

"Con lui è stato un idillio. Ma è un po’ tutta la famiglia, che è stata così. Mio padre se ne andò quando avevo 3 anni e con mia mamma stavamo dalla nonna Giuseppina Rossi, soprannominata Alfreda Catarsini, sarta e creatrice di moda, e dal nonno Alfredo, che, a lei, deve la sua tranquillità. Erano una coppia modernissima. Il nonno era un metodico, non si annoiava mai, come me del resto".

E lei, come fa a far tutto?

"Sono una persona organizzata di cervello. E mi stupisco sempre di me stessa, anche se a volte sono un po’ stanca perché mi tocca rincorrermi: mi viene in mente una cosa e prima di abbandonarla studio e osservo la sua fattibilità. È sempre qualcosa che mi nasce da dentro".

E nel futuro, cosa vuole fare?

"Cosa voglio fare da grande? Ora che sono rimasta sola al mondo, e non lo avevo messo in bilancio, mi piacerebbe molto andare a conoscere altri Paesi. Non come turista, ma rimanendoci un po’ di più".