di Martina Del Chicca
Influenza, Covid, patologie, malori improvvisi, incidenti... Ma non solo. A novembre gli accessi al Pronto Soccorso dell’ospedale “Versilia“ sono raddoppiati rispetto a quanto accadeva lo stesso mese di un anno fa. E si prevede di chiudere il 2022 con circa 10mila accessi in più; che il reparto diretto dal primario Giuseppe Pepe ha affrontato e affronta con la metà del personale di cui avrebbe bisogno. "Quello che fanno ogni giorno i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari del reparto di emergenza, e non solo, è straordinario; ma riconoscerglielo non basta. Serve un riforma urgente della sanità" sostiene Umberto Quiriconi, presidente provinciale dell’ordine dei medici.
Dottor Quiriconi, il primario Pepe ha dato numeri da “codice rosso“ per il Pronto Soccorso.
"Sì, lo sono. Per poche e semplici ragioni. Perché le persone oggi, tra Covid e influenza stagionale, sono spaventate, e l’eccesso di paura le spinge a rivolgersi al Pronto Soccorso anche per cose che potrebbero essere trattate direttamente dai medici di famiglia. Ma anche la medicina territoriale soffre una grave carenza di medici e di pediatri, che sfiancati dalla burocrazia faticano a stare al passo con le richieste. E poi c’è la diagnostica di primo livello che è in affanno, e talvolta per gli esami ci sono liste d’attesa così lunghe che gli utenti per avere risposte più rapide cercano una scorciatoia con il Pronto Soccorso. Dunque quello che sta accadendo al reparto di emergenza,. non solo quello della Versilia, è dettato da un insieme di cause che devono essere trattate analizzando il quadro complessivo. Come si fa con un paziente".
Che situazione vive la medicina territoriale?
"La situazione è disastrosa. Come le dicevo i medici di famiglia sono pochi, molti meno di quanti ne servirebbero sul territorio. Per colmare questo vuoto è stato aumentato il massimale da 1.500 a 1.800 pazienti ciascuno. Così ogni medico è oberato dalle richieste, che sono dunque di più, ma soprattutto dalla burocrazia, che toglie un tempo enorme alla professione. Quando sono andato in pensione ho vissuto con profondo dispiacere la separazione dai miei pazienti, ma liberarmi da tutte queste scartoffie e stato invece un sollievo. Faccio solo un esempio: per fare una vaccinazione anticovid, una sola dose, dalla prenotazione alle registrazione occorre completare sette passaggi. Provate a moltiplicarli per ogni ciclo... E questo, ribadisco, è solo un esempio".
Da dove dovrebbe partire in Toscana la riforma della sanità?
"Il primo passo dovrebbe essere riqualificare la medicina territoriale. Quindi trovare risorse per assumere nuovi medici, e poi investire sulla diagnostica di primo livello che con la richiesta di salute in costante aumento permetterebbe di abbassare la pressione sugli ospedali".
E basterebbe?
"No. Bisognerebbe anche equiparare gli stipendi del personale sanitario italiano a quelli di tutta Europa. Perché ogni anno nel nostro Paese si formano medici, preparati, che poi si trasferiscono all’estero con il loro patrimonio di competenze. Si parla di mille medici all’anno che trovano negli ospedali europei i giusti riconoscimenti. Pensiamo ai medici e agli infermieri di pronto soccorso, fanno un lavoro che è a tutti gli effetti usurante. E deve essere riconosciuto, anche sotto il profilo economico".
Le risorse Pnrr bastano per “curare“ la nostra sanità?
"I contributi sono indirizzati per mura e apparecchi. Ma senza il personale le cosiddette Case di comunità rischiano di rimanere delle scatole vuote".
Tornando all’influenza. Quando è atteso il picco?
"Ipotizziamo durante il periodo natalizio. Dopo due anni in cui era sostanzialmente scomparsa, per effetto delle misure di protezione anticovid, è tornata e ci ha colti impreparati dal punti di vista della difesa anticorporale. In particolar modo i bambini. Per questo è fondamentale vaccinarsi"
La mascherina, sì o no?
"Va utilizzata con buon senso. Quindi sì nei centri commerciali affollati o sui mezzi di trasporto pubblico".