Mi sono imbattuta per la prima volta in Machu Picchu su uno di quei tomi enormi di storia dell’arte del liceo, di quelli che non si finiscono mai di studiare ma al solo sfogliarli fanno viaggiare con la fantasia. Ricordo terrazzamenti nel verde ai piedi di una montagna e il pensiero formulato nella mia testa al cospetto di tale bellezza: "un giorno raggiungerò questo posto e lo vedrò con i miei occhi".
Machu Picchu è una parola che evoca sogno e magia. Annoverato tra i Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO e luogo eletto come una delle sette meraviglie del mondo moderno, in quechua significa “montagna vecchia”. Si suppone che la città ai piedi dell’altura sia stata costruita per volere di un imperatore inca intorno al 1440. Rimasta sconosciuta per quattro secoli e ammantata di leggenda e mistero, se ne deve la riscoperta nel 1911 a Hiram Bingham, uno storico di Yale che in realtà stava cercando l’ultima capitale inca.
Non si raggiunge Machu Picchu per caso, il percorso per arrivarci richiede determinazione, specialmente se di decide di fare un trekking su strade tra profondi dirupi fino a raggiungere i suoi 2430 metri. Anche chi vuole stare più comodo deve mettere in programma un viaggio impegnativo, seppur scenografico, per visitare il parco archeologico.
La base di partenza è la città di Cusco, l’ombelico del mondo, da cui si prende un treno panoramico che si inoltra nel fitto della vegetazione pluviale. Il tetto è un finestrino grazie al quale ci si immerge nel verde più intenso che si possa immaginare e in tre ore e mezzo siamo ad Aguas Calientes, il villaggio ai piedi della montagna conosciuto anche come Machu Picchu Pueblo. Il viaggio continua su un autobus che porta all’ingresso del parco archeologico e da quel punto in poi solo i piedi possono condurre i viaggiatori al cospetto di sua maestà Machu Picchu. Il respiro si arresta, gli occhi si riempiono di meraviglia di fronte a un luogo pieno di fascino che va al di là di ogni epoca e di ogni immaginazione.