Fu un Natale triste, molto triste, al di là e al di qua del molo, quello di ventuno anni fa. L’antivigilia, la marineria viareggina dovette fare i conti con un’altra tragedia del mare che colpì in maniera tremenda la famiglia Policardi, gente di mare, originaria della Sicilia che aveva scelto di vivere in città. Nel naufragio del Pegasus, il nuovo peschereccio varato pochi giorni prima a Rimini, avvenuto all’altezza dell’isola di Capri, persero la vita i fratelli Gianni e Fortunato. Vennero invece salvati il padre Antonio e il terzo figlio Davide.
Il Pegasus era un gioiellino, destinato a essere il fiore all’occhiello non solo della cooperativa della quale i Policardi facevano parte ma anche della flotta viareggina. L’obiettivo della famiglia, padre e tre figli, salpati dal porto romagnolo era quello di raggiungere Viareggio la vigilia di Natale per trascorrere assieme agli altri congiunti e parenti la giornata di festa. Tutto era filato liscio sull’Adriatico e nello Jonio. All’altezza di Capri, il quadro meteorologico cambiò radicalmente con una tempesta tambureggiante e mare sempre più fuori controllo che provocò il naufragio del Pegasus che costò la vita a Fortunato (il capitano) e Gianni Policardi. Il corpo di quest’ultimo venne restituito dal mare solo due mesi dopo. A trarre in salvo il papà Antonio e l’altro figlio Davide furono i militari della Capitaneria di Porto di Capri.
Le prime notizie del naufragio trovarono la conferma nel tardo pomeriggio: facile immaginare cosa accadde in Darsena. Un cappa plumbea di dolore ammantò tutte le case, dove chi aveva fede pregava mentre i laici si affidavano alla scienza, sperando per i mezzi di avanzata tecnologia in dotazione ai soccorritori potessero rivelarsi decisivi nella salvezza dei naufraghi.
Il dolore e l’angoscia di quelle ore diventarono sconfinata disperazione quando la Capitaneria confermò che c’erano due vittime, Fortunato e Gianni. La notizia del salvataggio di papà Antonio Policardi e di Davide venne celebrata con tanti abbracci ma il pensiero dominante e incessante di quelle ore era solo per Gianni e Fortunato che non ce l’avevano fatta. E ventuno anni dopo, questa storia di lavoro e di passione per il mare di una famiglia di pescatori, genera ancora sincera commozione.