MARIA NUDI
Cronaca

Il problema delle carceri. Lo psicologo del San Giorgio: "Tolto l’ufficio, ridotti i colloqui"

Michele Vito Cornacchia si rivolge alle istituzioni: "Il supporto dei professionisti è fondamentale"

Michele Vito Cornacchia si rivolge alle istituzioni: "Il supporto dei professionisti è fondamentale"

Michele Vito Cornacchia si rivolge alle istituzioni: "Il supporto dei professionisti è fondamentale"

Gli hanno tolto l’ufficio nel marzo del 2024 e ora gli hanno limitato le ore di colloquio con i detenuti, colloqui attraverso i quali Michele Vito Cornacchia, psicologo del carcere San Giorgio di Lucca per 29 anni, ha salvato tante vite, vite di persone che hanno sì commesso degli errori e per le quali il carcere, lo scontare della pena, dovrebbe essere una seconda possibilità. E allora Vito Michele Cornacchia in questo nuovo contesto professionale ha detto basta e ha rinunciato anche allo stipendio. Un gesto eclatante per il quale non si sente un eroe, ma con il quale vuole soprattutto scuotere le coscienze, vuole lanciare un allarme e un messaggio forte in un anno che ha registrato un numero di suicidi elevato. Un anno record. L’ultimo gesto estremo in ordine di tempo è avvenuto a Sollicciano dove nel fine settimana il 2025 ha registrato la prima vittima. Tragedia per la quale il governatore Eugenio Giani ha chiesto un incontro con il ministro della giustizia Carlo Nordio. Uno sfogo amaro quello del dottor Cornacchia. "Nelle condizioni attuali non posso lavorare, non posso esercitare la mia professione in modo qualificato e soprattutto non posso essere di aiuto alla popolazione carceraria – dice Cornacchia –. In questi anni mi sono occupato soprattutto dei ‘nuovi giunti‘ di quelle persone che vengono arrestate e che si trovano a vivere una situazione devastante, senza entrare nel merito del reato che hanno commesso. Negli anni della mia professione nei penitenziari per me sono venute prima le persone, ho sempre visto prima loro, aldilà di cosa avessero commesso, che non ho mai voluto sapere e che ho appreso in fase successiva. Per questo ho sempre cercato di rapportarmi a queste persone tenendo ben impressa una parola: la dignità, la dignità delle persone. Ho sempre cercato di instaurare con loro un dialogo umano, quante volte ricordo di aver preso per braccio uno di loro. Ora senza un ufficio e con un orario che oserei definire ‘svizzero’, perché poco prima delle 18 mi sollecitano a lasciare il carcere. Ma come si fa in questo contesto a svolgere la mia professione? Allora ho deciso ho deciso di tagliare corto. Agli inizi di dicembre ho scritto una lettera al Provveditore e alla Amministrazione penitenziaria toscana, lettera in cui ho raccontato cosa stesse succedendo e nella quale ho chiesto una opinione sul perché di questa scelta. Spero che il mio gesto parli alle coscienze" racconta Vito Michele Cornacchia con tono amareggiato, ma accompagnato da grande determinazione. La Nazione lo ha raggiunto telefonicamente mentre è in viaggio verso il carcere di Viterbo.

"Negli anni di professione nel carcere di Lucca, ma ho svolto attività professionale anche in altri istituti penitenziari, ho salvato tante persone dal suicidio e da altri gesti autolesionistici, ma ho bisogno di tempo, la mia professione non può avere delle restrizioni severe. Ho sempre inteso il lavoro che svolgo come un aiuto alle persone. E chi viene arrestato e viene privato della libertà è una persona che ha bisogno di ascolto, ha bisogno di sentirsi, qualsiasi reato abbia commesso, una persona, e questo nonostante tutto. La popolazione degli istituti penitenziari ha bisogno di ascolto. Ho una lista di colloqui, nessuno può immaginare del bisogno di ascolto che hanno queste persone. Con la mia decisione che mi crea anche grande dolore, perché so quanto sia importante accogliere con il supporto psicologico chi entra i carcere o parlare con chi sta scontando la pena, vorrei accendere un riflettore sulla realtà delle carceri. Vorrei che in Toscana per una volta si mettessero da parte le casacche politiche e vorrei che tutti facessero fronte comune per risolvere le problematiche che emergono dagli istituti penintenziari – prosegue Michele Vito Cornacchia –. Il materiale che ho raccolto in quasi trenta anni di professione nel carcere di Lucca è raccolto in due grandi scatole. Le storie, le vite salvate oltre trenta, sono tutte lì dentro. La mia speranza e di poter tornare a lavorare e di incontrare altre persone che vivono in carcere, perché, non dimentichiamolo, stiamo parlando di persone".