Il tricolore cinto nel nero del lutto e l’arcobaleno che avvolge le bandiere del “Mondo che vorrei“. Ogni 29 giugno, dal 2009, attraversando le strade di Viareggio si incontrano – appese sui balconi, fuori dai negozi, negli occhi della gente – le due testimonianze che segnano questo giorno: la perdita e la speranza. Lacrime e coraggio. Assenza e partecipazione. Sentimenti che si incrociano e accompagnano, da 13 anni, il cammino della città. Della società civile. Unita, solidale, partecipe, nella condivisione di una tragedia immensa – qual è stato il disastro ferroviario – e nell’impegno affinché resti l’ultima. Ieri sera anche delusa, per l’uscita del Comune dal processo ancora in corso. Dal silenzio che l’ha anticipata. Una delusione che è esplosa nella contestazione al sindaco Giorgio Del Ghingaro – al grido di ’Vergogna’ – che i familiari delle vittime hanno provato a sedare. Perché il 29 giugno non sia il giorno della rabbia.
E Viareggio ieri sera si è abbracciata, stretta come quella notte che ci ha colpito al fianco con una bomba che ha scaricato nell’aria carica di salmastro litri di Gpl . Ieri sera si è stretta, come quel pomeriggio del 7 luglio ai funerali solenni di fronte alle bare stese sull’erba dello Stadio dei Pini che, allora non lo sapevamo, non sarebbero bastate a contenere lo strazio di quella strage causata dal deragliamento di un treno merci che trasportava 14 cisterne di gas. La città si è riunita ieri, come il 29 luglio 2009 quando i viareggini scelsero, per la prima volta, di camminare incontro alla verità. Ieri, come ogni volta che c’è stato bisogno: per ricordare, per manifestare contro ad un’offesa alla memoria delle 32 vittime; per sostenere la battaglia controvento che il ferroviere Riccardo Antonini ha pagato col licenziamento. Insieme ieri come oggi, nell’attesa di una nuova sentenza che Viareggio si prepara ad accogliere con la consapevolezza che non potrà rimarginare la ferita ma, riconoscendo mancanze e responsabilità nel sistema di controllo del trasporto ferroviario, potrà contribuire a cambiare la storia dopo quella notte. Irreversibile, ma non imprevedibile. Perché tra il 2000 e 2006 in Europa si sono contati sette incidenti ferroviari causati da un asse che si è spezzato. Proprio come è accaduto a Viareggio, all’assile del 1974 criccato e montato sotto il primo carro cisterna tedesco deragliato alle porte della stazione che viaggiava “sulla fiducia“, e senza alcuna tracciabilità, attraverso le città italiane.
La città c’era ieri, ci sarà oggi, e quando ci sarà bisogno. Una promessa fatta, 13 anni fa, e mantenuta. "Se sono rimasto a Viareggio è per questo" ha detto Marco Piagentini, presidente de ’Il mondo che vorrei’. Perché qui, dove ha vissuto due vite, e dove ha perso le più preziose, ha trovato "un supporto". Come può esserlo una famiglia. Che dopo la notte più buia – illuminata da quell’esplosione accecante che dieci minuti prima della mezzanotte incendiò il cielo e la terra, i binari e le case, i pini e le persone – ha provato ad immaginare, e a costruire, un’alba nuova. Perché sulle macerie lasciate dalla scia del treno merci, da Viareggio si è provato, e si prova, a costruire una nuova consapevolezza. La sicurezza, costi quel costi. Meno di mille euro per un detettore di svio, che se montato sui carri potrebbe evitare il rovesciamento del convoglio in caso di deragliamento. E’ questa richiesta che muove il passo mai incerto dei familiari delle vittime..."I treni continuano a fischiare, quello dei ferrovieri è un grido d’allarme che non può essere ignorato" ha ribadito Daniela Rombi, che di sua figlia Emanuela da tredici anni può stringere solo la foto sul petto. Sulla rete ferroviaria europea solo nel 2020 si sono registrati 1331 incidenti significativi. Non è questo ’Il mondo che vorrei’, che vorremmo. Lo hanno ribadito ieri i familiari e i ferrovieri insieme. Sostenuti da una città che ha voluto essere presente, che gli ha camminato a fianco. Fino in via Ponchielli, fino in fondo, fino ai 32 rintocchi di campana che hanno viaggiato nel vento e picchiato sul cuore. Ricordandoci quanto male ha fatto, e ancora fa, quella notte maledetta.
Martina Del Chicca