Puosi
Il Titicaca non è
un lago qualsiasi, ma il più alto lago navigabile del mondo, situato a un’altezza di 3.812 metri sul livello del mare tra le Ande boliviane e peruviane. Un lago enorme, con la sua superficie di oltre 8.500 chilometri quadrati, che da secoli affascina esploratori, scienziati e sognatori. Il lago Titicaca è costellato di isole galleggianti nelle acque blu intenso, e per raggiungerle le imbarcazioni salpano presto la mattina dal porto di Puno, abbandonando la frenesia delle grandi città e i clacson dei mezzi pubblici sempre troppo stipati che suonano all’impazzata tra le folle.
Mentre si naviga nel silenzio, circondati da paesaggi da cartolina, siti archeologici e villaggi che sembrano essersi fermati in un’altra epoca, la mente va all’origine di questo nome così cantilenante, Titicaca. Sul significato di questo nome esistono diverse teorie e nessuno ha ancora dato una spiegazione definitiva. C’è chi dice che derivi da "titi", che in lingua quechua significa gatto selvatico, e "kaka", che in aymara, lingua ufficiale in Perù e Bolivia, significa pietra. Quindi Titicaca significherebbe "il lago dei puma di pietra", poiché visto dall’alto sembra la forma di un puma che caccia una piccola preda.
Altri studiosi invece sostengono che il nome derivi da "Intikjarka", che in lingua aymara significa "Roccia del Sole", un omaggio, quindi, a Inti, il dio Sole, che secondo la leggenda emerse dalle acque del lago per dare origine alla civiltà Inca.
Non ci sono certezze sul nome e nemmeno sull’origine del lago, ma una cosa è sicura: nessuno potrà mai descrivere a parole i colori che ti circondano e che si stampano indelebili nella mente. La lenta navigazione nel profondo blu regala un sollievo temporaneo al mal di testa dovuto all’altitudine, la vegetazione palustre è un balsamo per le parole che si perdono in apnee e vuoti d’aria.
L’arrivo sulle isole Uros, una cinquantina di isole flottanti a circa un’ora e mezzo di navigazione da Puno, è un’immersione nella vita locale, dove le capanne sono costruite sulla totora, una specie di canna lacustre autoctona. Camminando per il minuscolo villaggio sembra di avere delle molle sotto i piedi e ogni passo affonda un po’ più di quanto ci si aspetti. È una vita assolutamente senza agi, sostenuta solo dal turismo. E così facciamo la nostra parte, assaggiando la totora e ascoltando le canzoni in quechua.