Io, Claudio: il divo anti lucchese: "La prima maschera fu un’oca..."

In città Morganti è sinonimo di Canzonetta, ultimo erede di Casani, Bonuccelli, Pagianti e Martinelli "Sono uno dei pochi che possono permettersi di scherzare col sindaco e la presidente della Fondazione".

Io, Claudio: il divo anti lucchese: "La prima maschera fu un’oca..."

Io, Claudio: il divo anti lucchese: "La prima maschera fu un’oca..."

"L’ho a schifo, l’ho a schifo, l’ho a schifo". In città basta ripetere questo concetto, chiaro e scherzoso, per pensare a lui. A lui che di Viareggio è stato, ed è tuttora, una maschera familiare e senza età. Avete capito vero? No? Vediamo se le sue parole lo svelano: "Molti anni fa vestii, in occasione della parata di apertura del Carnevale, i panni di Burlamacco e come maschera ufficiale dovevo accompagnare la prorompente Carmen Russo, nostra ospite. Durante la sfilata mi accorsi subito che le persone salutavano me invece che lei, così arrivati in Passeggiata la Russo, decisamente sorpresa, si girò verso di me e chi disse: "Ma lei si chiama Morganti? Ho appena fatto da spalla al personaggio più in vista di Viareggio”". È proprio lui, Claudio Morganti, l’unico a cui è permesso interpretare Burlamacco coi baffi.

Viareggio la ama e lei ama Viareggio.

"Io senza Viareggio non ci saprei stare. Sono orgogliosissimo di esser viareggino ed è per questo che appena superato il monte Quiesa mi sale il mal di stomaco".

Ma via, l’atavica antipatia verso Lucca è solo una gag, vero?

"Per niente, non li sopporto veramente".

Sù, siamo a Carnevale.

“Non c’è Viareggio senza il Carnevale e viceversa. Quando vedo le nostre maschere sulle mura di Lucca mi sale la nausea”.

Eppure lei è uno dei pochissimi che si può permettere di scherzare con il sindaco e con la presidente della Fondazione Carnevale, due lucchesi.

"Vero, da questo punto di vista sono un privilegiato e ne approfitto".

Il privilegio se l’è guadagnato da mattatore del palcoscenico per oltre quarant’anni. Come ha iniziato?

"Mio padre Antonio scrisse tre libri sul dialetto viareggino ed era anche uno stretto collaboratore di Egisto Malfatti, così mi sono avvicinato al mondo del teatro dialettale e del Carnevale. A fare la differenza fu l’incontro con Enrico Casani, del quale ammiravo la spontaneità. Enrico andava a getto, senza seguire un copione, e per me è stato un esempio".

Dopo gli esordi al Festival dei Rioni con la Vecchia Viareggio fece il grande salto con Burlamacco 81. Come divenne capo comico?

"Iniziai per gioco con Alessandro Bonuccelli. Ricordo ancora la gag di Stanlio e Ollio perché pesavo 120 chili. Fu un trionfo, gli spettatori del Teatro Eden piangevano dalla risate. Poi nel 1984 Roberto Paglianti ci scritturò per la Burlamacco 81. Era una compagnia straordinaria che per oltre dieci anni fece 16 serate di esaurito al Teatro Politeama. Passammo da una storia unica agli sketch e la cosa piacque subito. Ci tengo poi a precisare che con Foffo Martinelli non ho mai avuto screzi. Ma con l’uscita di scena di Paglianti Foffo decise di fermarsi e io ne raccolsi l’eredità. Ma io ero solo uno dei tanti, grandi interpreti".

C’è qualche monologo di cui va più fiero?

"Ne voglio citare due: il giocatore del Viareggio, con l’allenatore che gridava “Rimetti in campo“ e “Palle basse“, e quello su Roberta Pelle che scuoiava animali e persone. Il pubblico si sganasciava, e anch’io".

Qual è il suo primo ricordo di Carnevale?

"Il costume della prima volta: non Burlamacco, ma un’oca. Mi vergogno ancora".

Qual è il carrista preferito?

"Vado sull’attualità, quindi dico i Cinquini".

Sergio Iacopetti