La verità vive oltre una macchia. Tullio Giordana e “La vita accanto“

Il regista sarà al cinema Centrale mercoledì sera per presentare il film e dialogare con il pubblico .

La verità vive oltre una macchia. Tullio Giordana e “La vita accanto“

Il regista sarà al cinema Centrale mercoledì sera per presentare il film e dialogare con il pubblico .

VIAREGGIO

Un racconto familiare, una storia di una donna "sempre abituata a stare in punta di piedi, sul ciglio estremo del mondo". Una vita, quella sempre indietro, a fianco, “accanto“ agli altri, che racconta l’inettitudine di quella stessa vita, delle deformità, e mostruosità che si annidano e abbruttiscono sentimenti, cuore e pensieri. È la storia, e la vita, della Rebecca protagonista del romanzo di “La vita accanto“ di Mariapia Veladiano, candidato al Premio Strega 2011 e vincitore del Premio Calvino 2010, nata irreparabilmente brutta, con una “mostruosità“ fisica subito rifiutata e nascosta dai genitori, ma da una dote e un talento unico, favorito e dalla zia, celebre concertista, per la musica e il pianoforte. Una storia, che racconta senza sconti l’ipocrisia, la crudeltà della natura, l’incapacità di accettare e accettarsi, abbracciata e lungamente accarezzata da Marco Bellocchio, che ne ha scritto la prima sceneggiatura, tenuta, conservata in un cassetto, come i più bei sogni, e proposta, anni dopo, al regista Marco Tullio Giordana, che proprio con Bellocchio e Gloria Malatesta ha lavorato alla sceneggiatura e ha portato sullo schermo il film di “La vita accanto“, proiettato in anteprima, fuori concorso, al Festival di Locarno 77 dove Giordana ha ricevuto il Pardo alla carriera, e presentato, in questi giorni, in tour, nelle sale italiane, con tappa mercoledì 4 settembre, alle 21, anche al Cinema Centrale di Viareggio.

Un film, con interpreti,tra gli altri, Sonia Bergamasco, Valentina Bellè e Beatrice Barison, che guarda al romanzo di Veladiano, trasformando quella “mostruosità“ che caratterizza la bambina sin dalla nascita, in qualcosa di più ordinario, in una difformità, anziché una deformità: in un’angioma, una macchia viola, che le ricopre il viso, e che le rende difficile il rapporto con gli altri, e con la famiglia, influente nel vicentino, composta da Maria, la madre, il marito Osvaldo e la gemella di quest’ultimo, Erminia, unica a riconoscere il talento della nipote, in un arco di tempo che comprende gli anni Ottanta e i Duemila, diversamente dai ’70 del romanzo. Ma relativa è, in questo film, la collocazione temporale, perché universale, invece, è il tema. Quello del corpo, unito a quello familiare con le sue nevrosi, manipolazioni e i suoi amori, la cui accettazione è alla base di ciascuna identità, persona e individuo, così come le sue eventuali imperfezioni, i suoi difetti, le sue “difformità“ e “mostruosità“, invece, sempre più spesso, che sia negli anni ’70, ’80 o nella contemporaneità, rigettate, schernite, e discriminate.

Gaia Parrini