L’attesa più bella. Seduti sugli scogli guardando la lenza

La giornata tipo di chi frequenta abitualmente il molo

L’attesa più bella. Seduti sugli scogli guardando la lenza

Simone e Luciano Lopez Siera da tanti anni pescano sul lungomolo di Viareggio. La loro è una passione che condividono con altri pescatori

Che non si osi augurare loro "buona pesca", tra chi, indaffarato, si appresta a sistemare esche, fili e ami e chi, silenzioso e paziente, attende che la canna, mossa soltanto dal leggero vento e dalle onde del mare che si scagliano e si scontrano contro gli scogli, li strattoni e li spinga a tirare conquistando la ferrata. A quei pescatori, più e meno giovani, che, ancora, portano avanti una tradizione secolare custodita proprio tra quegli scogli, quel molo e quella spiaggia, in un respiro che racconta uomini, storie e vite di una città intera. Storie, di una passione e di un amore, in alcuni casi, di lunga data, che partono dal divertimento di quando, da bambini, il porto era il ritrovo quotidiano con gli amici e che negli anni è poi diventato un luogo di appartenenza e comunità.

Come nel caso di Luciano Lopez Siera, 76 anni, che 50 anni fa, insieme allo zio, nelle pozze del Santa Monica al di là del molo, pescò i primi pesci, e che, da quel momento, non ha mai smesso. Ritornando sul lungomolo, in tutti questi anni, con i compagni viareggini, e con il figlio, Simone, a cui ha trasmesso non solo la passione per la pesca ma anche l’artigianalità e la manualità del mestiere da elettricista. "Siamo nati sulla spiaggia, o quasi, sugli scogli – racconta Luciano – Una volta si pescava di notte, eravamo tutti amici, si partiva a mezzanotte con la pizza e la cecina comprata da Athos e la mangiavamo sugli scogli, aspettando. Così era bella, la pesca, non era competizione e ossessione, come a volte può essere adesso. Ricordo i vecchi pescatori con la giusta mentalità di quando ho cominciato. Alcuni vengono ancora, o almeno ci provano, con la loro cannetta".

Alcuni nostalgici persistono e insistono, non volendo abbandonare quello che, per molti, è stato, ed è, il passatempo, e l’amore di una vita, affiancati dalle nuove generazioni, di figli e nipoti, che portano avanti il costume e l’usanza di una cultura in cui, su tutto, incide un senso profondo d’educazione, condivisione, e appartenenza, ad un luogo, ad un ambiente e ad un patrimonio, di esperienze e territorio, trasmesse di padre in figlio.

"Simone aveva sei anni la prima volta che l’ho portato a pescare, con indosso la tutina gialla da pescatore che gli regalai – continua Luciano, nell’impresa di abbandonare i borsoni sulla banchina, mentre il figlio, già posizionato sugli scogli, è intento a capire se la posizione scelta sia quella buona, per la pulizia del mare e la direzione del vento – Le prime volte andavamo molto sulla spiaggia, in cui la pesca, rispetto agli scogli, è diversa, è più varia, e i pesci sono forse anche più buoni, bianchi e saporiti. Con la pesca dagli scogli, leggera, i pesci, dal ragno all’orata, fino a venti giorni sono buoni e belli, ma devi prenderli appena entrano. Mi è capitato di trovare spigole da 5 chili e ombrine da 7. Simone, invece, quando faceva spinning, una volta ha preso una leccia da quasi 30 chili. Dipende poi tutto, dai punti che scegli, e quelli che vengono dall’esperienza".

Un’esperienza, quella di Luciano e Simone, così come dei tanti pescatori che ogni giorno dal molo fino al "moletto" della Darsena vanno a prendere "mille lire per ogni respiro", che traccia una storia e una memoria, che da secoli scrive quella della città.

Gaia Parrini