ABRAMO BUTRICHI*
Cronaca

Lo spartito della tradizione. Da Icilio Sadun al Malfatti. Quante note in maschera

Viareggio vanta una produzione eccezionale ora raccolta in una mostra. La rassegna è ospitata a Villa Paolina ed è visitabile fino all’11 maggio.

Viareggio vanta una produzione eccezionale ora raccolta in una mostra. La rassegna è ospitata a Villa Paolina ed è visitabile fino all’11 maggio.

Viareggio vanta una produzione eccezionale ora raccolta in una mostra. La rassegna è ospitata a Villa Paolina ed è visitabile fino all’11 maggio.

Diffondendosi piano sulle scale di Villa Paolina le note del pot-pourri di Sadun accolgono i visitatori della mostra “Feste & Musica – La musica del Carnevale di Viareggio e le sue storie”, avvolgendoli e preparandoli a un viaggio immersivo in un racconto lungo più di cent’anni. Era il 1920 infatti quando quattro viareggini in esplorazione al carnevale di Nizza si resero conto che la vera forza della manifestazione era proprio la musica appositamente composta di anno in anno. Il resto è storia: la richiesta a Giacomo Puccini di comporre un inno per il Carnevale, il suggerimento di rivolgersi a Sadun, il testo di Lelio Maffei scritto davanti a un piatto di cacciucco e finalmente, nel 1921, “Il Carnevale a Viareggio” (da sempre e per sempre scolpita nella memoria dei viareggini come “La coppa di champagne”). La prima vera canzone del Carnevale.

Prima ma non primissima, perché un paio di precedenti c’erano già stati nel 1913 con “’Nfilza Rosalba” (Giorgi) e nel 1920 con “Povereide” (Giannessi - Maffei), due branetti che pur non avendo la forza dell’inno ben riuscivano a interpretare l’anima più popolare e irriverente del Carnevale. E proprio in questa corrente negli anni immediatamente successivi si inaugura la tradizione delle canzoni dei carri, tutt’oggi in ottima salute e largamente rappresentata all’interno della mostra allestita da Roberta Patalani che alle fotografie di numerose costruzioni affianca testi e spartiti dei relativi brani (il prezioso materiale esposto è stato donato alla Fondazione Carnevale dal Fondo Puccetti e dal Fondo Valleroni, ed è conservato all’Archivio Storico in Cittadella).

Su tutte spicca inevitabilmente, complici una canzone particolarmente azzeccata (“Andasti o giovinastro al gran veglione...”) e Mario Tobino con lo splendido capitolo che le ha dedicato in “Sulla spiaggia e al di là dal molo”, la costruzione del 1924 “Risveglio dopo un’orgia carnevalesca” di Raffaello Tolomei.

Le canzoni dei carri, composte su misura, venivano eseguite dalle orchestrine che suonavano proprio sopra le costruzioni e cantate a perdifiato dai figuranti che imparavano i testi dai volantini colorati che venivano loro distribuiti (alcuni sono presenti alla mostra e osservandoli viene da sorridere al pensiero di quanti saranno stati afoni il giorno dopo il corso in un’epoca in cui gli impianti da migliaia di watt non esistevano ancora e la bubbaraglia andava fatta tutta a voce!).

Il Carnevale di Viareggio, a questo punto della storia si può dire a testa alta, ha finalmente una vera e propria tradizione musicale. Si va ben oltre i volantini: è musica che viene incisa, fissata per sempre su vinile, su nastro, su cd. C’è Egisto Malfatti col primo dei sei leggendari 33 giri targati Fontana, ci sono le audiocassette della “Canzonetta dei Rioni” degli anni ‘80 (fra i primi e più preziosi ricordi d’infanzia per chi scrive), c’è Egisto Olivi con la sua “Musica viareggina”... e ci sono alcuni 45 giri degli anni Sessanta dei quali all’occhio più allenato non sfugge una particolarità.

Sono dischi dei Marcellos Ferial, delle Snobs, di Joe Sentieri, di Gastone Parigi. Nomi “grossi” dell’epoca, artisti di grandi etichette discografiche, sicuramente operazioni commerciali e sicuramente musica non viareggina. (Tema ad oggi molto caldo!) Eppure tutto quel ben di Dio che ci si trova di fronte (i dischi del Malfatti, la Canzonetta dei Rioni, Egistino, tutte produzioni successive a quei 45 giri) sta lì a testimoniare proprio che alla pura viaregginità della musica del Carnevale nulla è mai stato tolto dall’esterno: al limite è stata affiancata!

Ma nella stanza a fianco c’è qualcosa che ci attira. Eh sì, sono proprio i colori della Libecciata. Lo stendardo della storica marching band e le divise originali sono esposti accanto alle foto d’epoca, con l’iconica Maria Grazia Billi in prima fila. (Lo spirito carnevalaro e anarchico del viareggino si chiede quand’è che le divise nei musei saranno solo quelle degli eserciti e rivedremo sfilare quelle della Libecciata.)

Il pot-pourri di Sadun che accompagna tutto il viaggio viene dalla sala delle proiezioni. Lo spartito, bellissimo da vedere e che si trova nella sala antistante, è stato suonato nel 2019 al Teatro Jenco dall’Orchestra dell’Istituto Boccherini di Lucca ed è possibile sedersi ad ascoltare l’esecuzione di quella sera. Attenzione però ai deboli di cuore! La registrazione fa da colonna sonora a una carrellata di immagini dei carnevali in bianco e nero, con un circuito più lungo e i carri che passano davanti al Caffè Margherita e al Quarantotto ancora tutto di legno. E su uno di quei carri, che sembrano sempre più grandi di quelli di ora, con tutte quelle ruote e quei movimenti che ormai non usan più, forse per il turbinio di emozioni provocato dalle note di Sadun a un tratto scorgi una ragazza, un amico, qualche conoscente. Negli anni Venti, in bianco e nero, eppure è lei, è lui! Ma forse è solo suggestione, sì. È solo il canto del Carnevale, lo stesso canto di cent’anni fa.

*musicista