DANIELE MANNOCCHI
Cronaca

Il decano dei maître Luigi Bruno va in pensione: quasi 50 anni tra le stelle

Luigi Bruno è arrivato a Viareggio negli anni Settanta: ha lavorato prima da Lorenzo e poi da Romano

Luigi Bruno va in pensione

Luigi Bruno va in pensione

Viareggio, 24 dicembre 2022 - A Viareggio è arrivato per una serie di ispirazioni e coincidenze fortunate. Un ragazzino con due grandi valigie, e due spalle altrettanto grandi su cui ha costruito una carriera piena di soddisfazioni. Una carriera che si chiuderà tra qualche giorno, quando taglierà il traguardo della pensione. Luigi Bruno, chef de rang del ristorante stellato Romano, andrà a godersi il meritato riposo. Un pezzo di storia che lascia il mondo della ristorazione versiliese.

Luigi, lei ha lavorato con due totem come Lorenzo Viani e Romano Franceschini.

"Due grandi professionisti. Se va sul molo la mattina alle 7,30, sono gli unici due ristoratori che trova. Gli altri fanno tutto per telefono".

Com’è arrivato fin qui?

"Sono originario della Basilicata. La mia famiglia non stava male, anzi: mio padre è l’unico di sette fratelli a non essere emigrato. Io sono pure figlio unico. Poi, un giorno, ho parlato col fratello di un mio amico che faceva questo lavoro. Così, dopo le medie, ho scelto di frequentare l’alberghiero a Potenza. Stavo in collegio, partivo il lunedì e tornavo il sabato. In pratica, a 14 anni mi sono staccato dalla famiglia. All’epoca non c’erano gli stage: i tre studenti più meritevoli del corso venivano mandati a lavorare nei migliori hotel d’Italia. Il primo anno mi classificai secondo: tra le opzioni disponibili, tutti puntavano a Rimini. Io avevo parenti in Toscana e scelsi il Principe di Piemonte".

Primo incontro con Viareggio.

"Il mio primo contratto risale al 3 maggio 1976. Arrivai con un amico dopo 12 ore di treno. Ricordo che ci fermammo sulle panchine in muratura in piazza Mazzini, le stesse di oggi. Siamo arrivati all’hotel alle 9, entrando dall’ingresso principale. Ci hanno subito urlato contro".

È stata dura?

"Ci divisero: io dormivo sottoterra e il mio amico in mansarda. Ero commis débarrasseur, che all’epoca voleva dire anche fare le pulizie. Tutti i giorni bisognava lucidare il pavimento di ceramica. Alle fine, al Principe ho fatto nove stagioni".

Come mai non ha proseguito?

"Nell’83 mi sono sposato con una donna del mio paese, che poi mi ha seguito a Viareggio. Volevo respirare un attimo, quindi mi sono trasferito in un ristorante-pizzeria in passeggiata. Poi, nell’87, andai da Lorenzo. Laggiù si faceva una cosa bella che credo andrebbe fatta ancora oggi: quando bisognava assumere qualcuno, il personale faceva una riunione e votava. A me andò bene, presi i voti della maggioranza. Sapevano che ero un ragazzo che lavorava".

Che ricordi ha del locale?

"La prima sera mi misero a sfilettare e sporizionare delle soglioline piccolissime. Bisognava servirle col carciofino fresco e un goccio d’olio. A fine serata, ne avevo fatte 65, non ne potevo più. Però, sono orgoglioso di essere entrato da Lorenzo come ultima ruota del carro: dopo sei mesi ero alla pari con gli altri e l’anno dopo ero il referente. Dopo Lorenzo, in sala, c’ero io. E quando mancavo, mi chiavama anche 15 volte al giorno. Ma sono stato ricompensato bene: Lorenzo è un secondo padre".

Dev’essere stato un lavoro molto stimolante...

"Mi ha fatto conoscere tante persone. Educati e gentili come Moratti ce ne sono pochi. A Licio Gelli aprivamo il locale per pranzo, solo per lui. E poi Tanzi, Montezemolo, De Niro... Ma la cosa più bella di quel periodo è che sono riuscito a tenere la stessa squadra di otto camerieri per 17 anni, senza mai cambiare. Non dovevamo più neppure parlare, sapevamo sempre cosa fare. Una sera sì e una no cenavamo insieme, e abbiamo avuto un cliente, il proprietario dell’Acqua Silva, che ci portava fuori una volta al mese. Ora non c’è più, ma di recente sono venuti a cena i figli e uno mi ha chiesto di organizzare per riportare a cena la vecchia squadra".

Lei è famoso per la maionese fatta al tavolo. Come nasce?

"Ho fatto un’esperienza di qualche mese in Inghilterra, e lì mi facevano fare la maionese anche 15 o 20 volte al giorno. Quando andai da Lorenzo, mi chiese se sapessi farla e io, che non ne potevo più, dissi di no. Mi fece provare e ovviamente mi riuscì subito. Una sera c’era a cena Roberto Franceschini: ordinò del pesce bollito e disse che voleva la maionese fatta al tavolo da Lorenzo. Che però era occupato, e così toccò a me. La facciamo diversa: lui in chiusura mette una puntina di senape, mentre io preferisco qualche goccia di aceto".

Qual è la più buona?

"Sono due modi differenti, ma quale sia più buona lo sa anche lui ( ride ) e ormai me lo dicono".

Com’è cambiato il lavoro in questi anni?

"È cambiato molto. I cuochi hanno acquisito molto peso, mentre alla sala non pensa quasi nessuno. Eppure, noi siamo il 60 per cento del servizio: se il cliente si trova male, anche mangiando bene, non torna. Io, ad esempio, ormai riesco ad anticipare le loro richieste".