REDAZIONE VIAREGGIO

"Mai più girarsi dall’altra parte". L’urlo rumoroso della Passeggiata. Solo così Giulia sarà l’ultima

In migliaia al corteo promosso dalla Casa delle Donne. Cartelli e tamburi a "riscaldare" la giornata "Parlate, denunciate, chiedete aiuto". L’invito per spezzare quella paura che accompagna troppe storie.

La rabbia per l’ennesima vita spezzata senza alcun senso, se non quello malato del dominio, accende i loro occhi di determinazione. Lo sguardo, quel benedetto sguardo che alcune di loro hanno voluto accentuare con uno sbuffo rosso sullo zigomo, simbolo della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, non vogliono più doverlo abbassare. Né in casa, né al lavoro, né mai. Le donne sono scese in strada per urlare il dolore delle loro "sorelle" ferite, violate, e solo quest’anno 105 volte ammazzate. E con loro gli uomini, e i bambini, tanti bambini, sulle cui spalle ricade la speranza di un futuro migliore.

Se la Casa delle Donne aveva delle aspettative sulla "marcia rumorosa" di ieri, con ogni probabilità non sono rimaste deluse. Anzi. Sulla Passeggiata sferzata da un vento freddo, tagliente, al ritmo dei fischietti e dei tamburi si è radunata una marea umana che ha spezzato la monotonia del sabato pomeriggio dedicato alle "vasche" o allo shopping. Difficile quantificare l’affluenza. E tuttavia un colpo d’occhio può provare a spiegarla: quando la testa del corteo ha raggiunto piazza Campioni, in coda c’era sempre qualcuno che si stava mettendo in marcia da piazza Mazzini.

Una marcia non tanto delle donne, quanto per le donne. Trasversale e transgenerazionale, ha coinvolto ragazzi e ragazze delle superiori, gruppi di ventenni, famiglie con bambini al seguito, carrozzine, passeggini e il cane al guinzaglio, uomini e donne di mezza età e persone coi capelli bianchi. "Sono qui – racconta un papà col bambino issato sulle spalle – per insegnare a mio figlio che siamo tutti uguali, e che tutti meritiamo lo stesso rispetto".

Rumore. Lo aveva chiesto la presidente della Casa delle Donne Ersilia Raffelli, che ha guidato la marcia viareggina. E l’ha ottenuto. Sia in concreto – nei fischi, nei tamburi, nell’urlo ribelle che ha infiammato il corteo –, sia in senso metaforico. Mille persone in piazza fanno rumore. Il loro dolore si sente, declinato nelle parole aspre di chi ha deciso di rivoltarsi contro il senso di oppressione che l’attanaglia da una vita, di chi spera "che il dolore di oggi sia la benzina che ci darà la forza per cambiare le cose".

Ci si sente meno soli, quando un’energia del genere si propaga nella folla. Non si ha paura di mettersi a nudo, come la ragazza che con la voce rotta racconta di quella volta che la madre, vittima di violenza, fu portata in ospedale "e gli infermieri che le cucivano le testa si girarono dall’altra parte". No, adesso basta girarsi dall’altra parte. "La maggior parte delle donne che subiscono violenza, non ne parlano né in famiglia, né con le amiche", ricorda Raffaelli. Ecco perché ieri era giusto fare rumore: perché i suoni arrivassero anche a chi non vede una via d’uscita dalla propria prigione, per la speranza che l’appello – "parlate, denunciate, chiedete aiuto" – possa arrivare a segno, in un mondo in cui una vittima non si senta sola e abbandonata.

Daniele Mannocchi