TOMMASO STRAMBI
Cronaca

Veronesi bendato, perché il maestro ha diretto la “Bohème” con una benda nera sugli occhi

Il maestro ha risposto a Sgarbi, che l’aveva invitato a non salire sul podio per Bohème: "Non la voglio vedere"

Il maestro Veronesi dirige la "Boheme" bendato (Foto Umicini)

Torre del Lago (Viareggio), 15 luglio 2023 – Ieri, Presa della Bastiglia, è andata in scena la discussa Bohème allestita nel pieno delle rivolte del Maggio Francese a cavallo tra 1967 e ’68. In un clima di attesa parossistica per le reazioni del pubblico (e del maestro Alberto Veronesi) innescato dalla contestazione, pochi giorni fa, del sottosegretario Vittorio Sgarbi. E la bufera è iniziata subito quando Veronesi è salito sul podio con una benda nera sugli occhi. Il pubblico lo ha contestato chiamandolo ‘buffone’, esortandolo con "Vai via!". Molti hanno urlato "Vergogna". Ma Veronesi ha continuato a dirigere le arie di Bohème e poi ha gridato agli spettatori: "Non voglio vedere queste scene". Alcuni spettatori non hanno gradito la particolare forma di protesta di Veronesi e se ne sono andati via anzitempo.

(Foto Umicini)

Mettendosi la benda, il maestro Veronesi ha voluto criticare il regista francese Christophe Gayral che, secondo quanto ha ribadito ieri Sgarbi, tradisce nelle scenografie pensate da Christophe Ouvrard "ogni visione e spirito pucciniano", avendo trasposto in un contesto storico e sociale completamente diverso il contesto in cui si sviluppano gli eventi dell’opera di Puccini. Il sindaco di Viareggio Giorgio Del Ghingaro, ha cercato poi di stemperare gli animi: "Il maestro Veronesi ha voluto dimostrare che conosce lo spartito a memoria".

C’è stata anche una sorpresa vagamente osé: alla fine del primo quadro Mimì appare in reggiseno e va a letto con Rodolfo. Eppure il Pucciniano è avvezzo a ben altre esibizioni: era il 2005 quando in Turandot la splendida Francesca Patané fece la cavatina muta coi seni scoperti. E nessuno si scandalizzò.

La Bohème sessantottina, grazie alle polemiche di Sgarbi, ha ricevuto una promozione che altrimenti il Festival si sarebbe sognato. Il sottosegretario ha usato anche qualche parola pesante tralasciabile: "Perché devono essere messe insieme cose che non c’entrano nulla? Perché si deve indulgere a questa deriva di registi convinti di essere geni, che fanno soltanto la storia loro perché non vogliono rispettare la storia vera?". Critica legittima. Del resto da 20 anni nel mondo è maggioritaria la linea di registi e scenografi che alterano vistosamente spazi, luoghi, tempi e costumi di ogni opera lirica. Puccini sembra il bersaglio preferito. Abbiamo visto Tosca coi questurini ai tempi del delitto Calabresi, e un anno fa a Torre del Lago coi fascisti. In barba a Napoleone, la battaglia di Marengo e la Regina di Napoli citati nel libretto e nelle arie. Per contro, quando un gigante come Scola mise in scena la sua Bohème, ricostruì la "Parigi più vera di Parigi" narrata da Giacomo Puccini, Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. E non parliamo del capolavoro di Folon.

Le note di regia di Gayral avevano annunciato un pesante intervento in una storia che Puccini ambientò nel 1830. La soffitta del Quartier Latin diventa "un atelier comune di artisti sui Grand Boulevard davanti al Café de Flore. In un freddo Natale dove già si intravedono gli inizi di questa rivoluzione sociale dell’amore". Non c’è più il camino ma una stufa. E non c’è più il Café Momus, sostituito. Nel ’68, da decenni, il Momus era diventato un albergo. Quando era café vi andavano personaggi come François-René de Chateaubriand. Al Flore invece c’erano gli intellettuali della gauche, a partire da Sartre. Infatti nell’atelier appare anche un manifesto con un pugno alzato. Al pubblico l’ardua sentenza su questa trasposizione. E Mimì, il reggiseno e l’amplesso a prima vista? Per il ’68 va benissimo. Per la metà dell’Ottocento chissà.