Dal telecomando malfunzionante della piscina alla mancata copertura assicurativa della struttura, fino alle testimonianze su chi gestiva il bagno “Texas“. La penultima udienza del processo per la morte della 12enne Sofia Bernkopf, ieri al tribunale di Lucca, secondo l’accusa ha confermato le responsabilità sulla tragedia del 13 luglio 2019, quando la bimba non riuscì a risalire a causa dei capelli rimasti impigliati nel bocchettone sott’acqua e morì quattro giorni dopo all’Opa. Il giudice Gianluca Massaro ha ascoltato i testi delle difese degli imputati Mario Assuero Marchi, Emanuele Fulceri e Thomas Bianchi, accusati con le sorelle Elisabetta e Simonetta Cafissi, Giampiero Livi ed Enrico Lenzi di omicidio colposo aggravato. I testi hanno chiarito che il bagno di fatto era gestito, a vario titolo, dalle sorelle Cafissi e dai loro mariti Livi e Marchi. Conferma fornita anche dall’avvocato Matilde Cascio, ex cliente storica del bagno. Il teste Antonio Tolomei, bagnino dal 2016 del “Texas“, ha invece confermato la ricostruzione dei tecnici della Procura nelle indagini preliminari, spiegando che il telecomando per accendere e spegnere la vasca non funzionava da tempo. Non solo: è emerso che il bagno, di proprietà della “finanziaria Dante“ (dei Cafissi), non era assicurato in caso di danno a terzi, come sottolineato dall’avvocato Stefano Grolla, difensore delle parti civili. "È innammissibile – dice Edoardo Bernkopf, padre di Sofia – che una struttura complessa e rinomata fosse sprovvista di copertura assicurativa a tutela di clienti e dipendenti, oltretutto in un contesto inadeguato come dimostrato dalle indagini, specie per quanto riguarda il giovane apprendista bagnino Bianchi". Prossima udienza il 1° luglio: la sentenza è attesa a settembre.
Daniele Masseglia